Ventiduesima Uscita

01.05.2024

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Tra ingiustizie e standardizzazione di massa

La miccia della disumanità

Un incubo ad occhi aperti: da KUBIN al presente (Pagina 13)

Libri:

WASSILY KANDINSKY
Lo Spirituale nell'ARTE (Pagina 3)

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Poissy (Francia)

Villa Savoye (1929 – 1931)

Le Corbusier 

Le Corbusier fu uno dei più grandi architetti e pensatori vissuto nel secolo scorso: oltre ad essere un pittore ed urbanista fu con Walter Gropius tra i generatori del Movimento Modernista e, tra i progetti architettonici che rispecchiano la sua poetica, troviamo in Francia la Villa Savoye.

Era un'opera programmatica conclusa nel 1931 e fondava la propria struttura sua una rampa di accesso sopraelevata rispetto al livello base.

Altre caratteristiche che la rendono unica è una copertura terrazzata mentre le facciate rispecchiano il territorio circostante generando così un'armonia ambientale.

Uno dei principi di Le Corbusier era che un edificio non si amalgamasse proprio con l'habitat ma che spiccasse per la legge di contrasto perché secondo lui la dimensione artificiosa ne determinava la caratteristica portante.

Per queste ragioni la propria artificialità è caratterizzata dalla semplicità dei materiali e della forma secondo cui si tratta esattamente di un parallelepipedo posto su pilastri a forma di cilindro. 

Palazzo Madama (Torino)

Museo Civico d'Arte Antica

26 ottobre - 10 giugno 2024

Liberty. Torino Capitale

Finirà a giugno la mostra che celebra Torino in uno dei periodi più importanti della sua storia: il Liberty.

La mostra è proprio impostata sul ruolo che la città svolse in quella determinata fase storica in cui il Regno d'Italia e gli italiani credevano nel progresso, nelle idee di libertà ed in valori oramai in bilico. Era la fase artistica di passaggio tra la visione di un mondo romantico e quello novecentesco fondato sul progresso e la velocità in cui il simbolismo ed il senso del decorativismo prendevano il posto del naturalismo precedente e dove tutto ciò che riguardava l'arte valeva se progressivo in nome del nuovo.

 In Italia questa concezione mutevole, dinamica e metamorfica prendeva le mosse attraverso l'idea del floreale. Cambiando nome nei diversi contesti diventava Modern Style in Inghilterra, Art Nouveau in Francia ed ancora Jugendstil in Germania, Sezessionstil in Austria , Arte Joven in Spagna e Modern in Russia eppure nonostante le diverse visioni prendeva le mosse dalla teoria di Edmond Picard che su una rivista belga l'Art moderne definiva la produzione di Henry van de Velde con l'espressione: Art Nouveau.

Espressione che toccò tutte le forme creative di quel quarantennio europeo compreso tra il 1871 e il 1914. In Italia corrispondeva subito dopo al momento in cui Roma diveniva capitale e l'inizio della Grande Guerra che avrebbe mandato in frantumi questo ottimismo nella bellezza, nella scienza e nel progresso stesso. Nell'esposizione del 1902 a Torino presso l'Esposizione Internazionale d'arte decorativa prendeva il la questa visione del mondo che entro breve avrebbe dovuto fare i conti con la realtà. 

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WASSILY KANDINSKY

Lo Spirituale   nell'Arte

Avevo vent'anni quando mi approcciai per la prima volta a questo testo ed ho avuto modo di rileggerlo nel corso del tempo. L'opera illuminante mi folgorò e rimase stampata nella mia mente: in più fasi sono tornato su questo capolavoro filosofico scritto da Wassily Kandinsky nel 1910.

Fa parte infatti di quella schiera di libri che non può essere letta una sola volta per il semplice fatto che apre la mente soprattutto a chi voglia intraprendere il mio lavoro.

L'arte infatti diviene lo strumento attraverso cui indagare la spiritualità e per far questo dobbiamo tornare indietro proprio all'inizio del '900 in cui le avanguardie dilagavano e Kandinsky valutando la crisi delle verità precedenti come la scienza e la religione e la stessa morale spostava la propria attenzione verso il proprio Sè.

Infatti il testo ricerca interiormente il rapporto del soggetto con elementi trascendenti che possano consentirgli questo slancio metafisico e l'arte ne diviene il mezzo ideale: ecco il distacco dall'imitazione della natura eguagliando in un certo qual modo la musica e per questo descrive una sorta di metafisica del colore con l'intenzione di dare suono ai colori.

Da questo impatto pseudo-scientifico distingue i colori caldi da quelli freddi (ad esempio il blu è colore del cielo; il giallo della terra; il bianco è il silenzio; il nero è il nulla) giungendo così a stabilire delle pure sinfonie visive che hanno un carattere di trasmissione universale.

In questo modo giunge all'astrazione (descrivendo ciò che Jung chiamava archetipo) secondo cui il processo di liberazione che l'artista deve compiere procede per gradi dissociandolo dai dati concreti del reale ma sugli aspetti intimi che quel contesto trasmette nel suo esecutore: il senso delle linee, dei punti e della combinazione alchemica dei segni deve per forza di cose portare all'astrazione. Da questi presupposti è possibile calarci nelle sue composizioni razionali strutturate mediante elaborazioni profonde in cui forme e colori stabiliscono delle armonie, degli equilibri e delle reazioni a cui la mente reagisce involontariamente proiettando il proprio Sé.

Sono gli anni in cui la psicoanalisi freudiana stava gettando le proprie basi ed il senso della spiritualità otteneva un suo statuto concreto: l'arte kandinskyana volgeva ad una forma di risveglio: "La vita spirituale di cui l'arte è una componente fondamentale è un movimento ascendente e progressivo tanto complesso quanto chiaro e preciso. E' il movimento della conoscenza"

In questa sua affermazione è descritta la sintesi di tutto ciò che ha sostenuto e realizzato pittoricamente nel senso che proprio in questa frase spiega l'importanza dell'arte quale mezzo di ricerca per svelare verità nascoste e che il mondo non offre perché apparente. L'artista è il sacerdote di questa fede intima in cui l'anima è ne diviene erede per eccellenza. 

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Max TORTORA

Il dissacratore

"Prenneme bene"

Era il 2021 quando il team di Si vive una volta sola venne a Torino per la rassegna stampa presso l'Hotel NH Collection di Piazza Carlina per il film di Carlo Verdone a cui dedicai l'intera pagina 3 del 2° numero del 2020. All'epoca erano presenti alla presentazione il regista Carlo Verdone, Rocco Papaleo ed Anna Foglietta oltre che Max Tortora.

Posi loro delle domande mentre su Tortora rivolsi particolarmente la mia attenzione: persona educata e schiva, molto riservata e composta nelle risposte. Tutt'altra cosa rispetto ai ruoli che interpreta nei film. Quando a fine intervista gli chiesi infatti di farsi una foto lui in maniera molto educata si mise in posa dicendomi ironicamente:"N'attimo…" e guardandomi sorridendo aggiunse:"…prenneme bene!"

Ecco di fianco il mio scatto al volo. Era il 3 febbraio e la prima del film sarebbe uscita il 26 dello stesso mese. Poi il Covid-19.

Da quel giorno Tortora ha realizzato altri film: Siccità (2022) di Paolo Virzì, I migliori giorni di Massimiliano Bruno e Edoardo Leo (2023), Tramite amicizia di Alessandro Siani nel (2023) e Felicità sempre del 2023 di Micaela Ramazzotti.

Classe 1963 l'attore romano dopo essersi laureato in architettura partì da rotocalchi di moda per giungere intorno ai primi anni del 2000 a trasmissioni in cui imitava personaggi famosi del cinema e della televisione. Sono gli anni di Stracult e Cocktail d'amore quelli in cui diviene un volto celebre e dal mondo della televisione approda a quello del cinema. Stregati dalla luna di Pino Ammendola è il suo esordio filmico che lo porta nel ventennio successivo a numerose collaborazioni.

Il lavoro del comico non è affatto semplice: soprattutto per come sono i tempi tra malattie, guerre o crisi finanziarie: la gente è sempre più frustrata e chiusa nelle proprie angosce. In questa via il comico tenta la via della simulazione delle persone comuni e grazie all'ironia coglie il modo per far ridere delle situazioni che nella realtà tormentano. Si rivedono, si riconoscono e per questo ridono di se stessi.

Tra la macchietta e la comicità dissacrante l'omone alto 1,97 ridicolizza i costumi della società mostrando spesso tipi della realtà quotidiana al cospetto di situazioni paradossali in cui le paure e le angosce dovrebbero prendere il sopravvento eppure dove la battuta, la romanata sbriciolano la serietà dell'evento riducendolo a scherzo.

Forse è il modo con cui bisognerebbe affrontare la vita. La società rapida, distratta, assorbita dalla frenesia materiale tende ad affrontare le cose con tensione.

" Nella vita ci vuole un po' di leggerezza…" dice nel corso della conferenza stampa:"…i personaggi che interpreto a volte calano nel ridicolo, altre in situazioni paradossali. Il segreto di tutto sta nel vedere per mezzo della comicità anche gli aspetti buffi là dove sembra che non ci sia via d'uscita"

L'attore comico e caratterista è una persona seria e professionale nella vita. Dietro la maschera buffa una lucidità impressionante che mira allo stravolgimento di situazioni assurde.

Quindi dietro la maschera beffarda, trasognata e divertita dell'uomo ironico c'è la consapevolezza e lo studio di chi si guarda intorno ed assimila i modi e i gesti delle persone comuni per poi svilupparne un serbatoio di personaggi da restituire al pubblico.

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La Vetrina

Lino Alviani

La VETRINA tratta di un artista abruzzese: Lino Alviani. L'opera n°17 della collezione di Rinascenza Contemporanea (n°17 R.C.) e custodita presso la Serafica di Torino fu donata dall'artista ai tempi di Rinascenza Contemporanea nella città dannunziana di Pescara. Si tratta di una tecnica mista che ricorda Mario Schifano: l'artista nato a Castel di Sangro nel '48 è anche scultore, fotografo ed acquerellista che da sempre è stato affascinato dalla cultura pop sino al simbolismo asiatico in cui il valore di un segno, di un tratto o di una macchia di colore si apre ad un gesto Zen. Alviani ha esposto in tutto il mondo nella sua lunga carriera e le sue opere sono esposte in diverse gallerie italiane. In lui il geometrismo è espressione di una dimensione superiore mediante la quale ha spaziato dall'iconismo alla figurazione fino all'impatto cromatico fondato su un lirismo poetico atto ad esprimere la propria poetica mediante finestre creative da cui poteva osservare il mondo. Abitualmente ci si affaccia alla finestra per osservare il paesaggio, le persone, la vita, invece i suoi quadri/finestre sono dialoghi pittorici tra sé ed il senso che quella realtà genera in lui: una sorta di caleidoscopi metafisici che non guardano fuori ma sondano dentro il suo animo fantasioso e dedito alla ricerca ed alla sperimentazione perpetua. Questi ed altri aspetti significativi della sua produzione sono stati affrontati ne AION. Il Tetramorfo ovvero Il Quarto Libro della Natura.

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Fernandel

Fernad –Joseph –Desiré Contandin nacque nel 1903 a Marsiglia. Il padre originario argentino fu registrato come Contandin anziché Coutandin. La vita non fu facile e trascorse molto tempo tra lavori umili e fece anche il cantante e caratterista nei locali. Nel 1931 l'esordio in Le Blanc et le noir ed il regista Jean Renoir gli affidò un ruolo importante: da qui decollò la sua carriera come attore comico fino poi al ruolo di Don Camillo negli anni'50 in cui la rivalità a Peppone impersonato da Gino Cervi segnarono la svolta.

Da qui tutta una serie di successi: La legge è legge (1958) con il grande Totò per arrivare a Il giro del mondo in ottanta giorni (1956) girato ad Hollywood giungendo a creare una casa di produzione la GaFer film con Jean Gabin ed all'ultimo film Don Camillo e i giovani d'oggi del 1970.

Come ci viene documentato gli esterni del film furono girati sotto il caldo di luglio presso Brescello e si sentì male. Fu condotto a Parma d'urgenza e dopo quattro giorni fu trasferito a Marsiglia. Le cose non migliorarono e da lì a poco tempo morì nella sua casa di Parigi. L'Italia fu la sua seconda patria e presso il nostro cinema fu conosciuto dal pubblico di tutto il mondo. Come dimenticare il volto di Fernandel?

Il suo sguardo accattivante, i dentoni sproporzionati che ridicolizzavano proprio lo sguardo?

Fernandel era questo: una maschera espressiva capace di rendere il personaggio serio, duro, a volte caparbio e ligio al dovere. Eppure la serietà dell'uomo qualunque veniva stravolta dall'impeto delle situazioni crude, ciniche, beffarde sino a capovolgere quella serietà di partenza in una comicità beffarda.

La sua ironia infatti non partiva da vuote macchiette o da un giullarismo ridicolo, tutt'altro: maggiore era la serietà che poneva al personaggio/ruolo qualunque tanto più le situazioni assurde spinte al paradossale che turbavano quella compostezza iniziale facendola sprofondare nel ridicolo.

In altre parole innalzava il personaggio dotandolo di un ruolo, di un titolo e di un rigorismo eccessivo per poi farlo scendere dall'autocelebrazione e calarlo nelle proprie debolezze, nelle proprie frustrazioni da cui veniva fuori la grandezza dell'attore francese.

Seguendo questa scelta comprendiamo il senso di Don Camillo, un prete di paese che dialoga con Cristo in antitesi all'eroe negativo, Peppone, comunista ed al senso profondo, politico di questo interscambio da cui tra gag e situazioni ridicole veniva descritta la minaccia atomica da prima guerra fredda così ad esempio ne La legge è legge in cui a contrastare la sua posizione sociale e l'autorità è Totò che ad un certo punto farà scoprire la sua nascita al di qua del confine: dal momento in cui è italiano perde tutto ma sarà lo stesso deux ex machina a rimettere a posto le cose.

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Standardizzazione dei meccanismi comunicativi

La ripetizione dell'identico

La sudditanza al FORMAT 

Il mondo dell'arte per come si sta ripiegando attraverso i media e le piattaforme digitali ha cambiato abito sostituendo al valore intrinseco della perizia tecnica ed esecutiva dell'opera ed al suo inserimento in un contenitore pubblicitario atto a decretarne il valore. L'artista, come abbiamo già avuto modo di definire altrove, diventa una sorta di manager, di influencer che si impegna a diffondere il proprio prodotto servendosi di quei meccanismi mercificati che lo diffonderanno rapidamente.

Seguendo questo percorso l'artista dunque traslerà il discorso artistico in quello economico, promozionale e pubblicitario riducendo il lavoro creativo a quello imprenditoriale: si muoverà infatti per gallerie, fiere, partecipando a collettive e personali ma in linea di massima il proprio scopo è quello di farsi vedere, riconoscere e vendere al miglior offerente.

In altre parole questa aderenza ad una nicchia specifica di mercato che trasforma improvvisamente l'opera in prodotto ne riduce il senso stesso in una sotto forma di mercificazione e prendendo spunto dal gergo televisivo ad esempio, possiamo definire l'aderenza ad un format, ad una modalità pregressa che è giusta per il semplice fatto che le cose vadano in questa direzione. Torna utile la lezione di W. Benjamin secondo cui l'opera a queste condizioni perdesse la propria aura dal momento in cui diveniva merce di scambio.

Un'opera non ha valore: è inestimabile ciò che un artista genera in quel dato momento eppure le linee di demarcazione che guidano le epoche sono determinate proprio da super-regolatori entro i quali si muovono le società e le cose che in esse vengono prodotte.

Su questi postulati è interessante dunque affrontare il discorso tecnico dei format ovvero del contenitori o meglio di quella serie di apparati regolamentati racchiusi in un determinato schema comunicativo: pensiamo ai programmi televisivi tra cui ad esempio i talk show. Vediamo che in questo caso che se funzionano da anni ovvero se l'audience è esponenziale o resta più o meno un'abitudine del pubblico, tale programma si ripeterà negli anni garantendo alla rete televisiva una propria sicurezza sull'impatto del pubblico.

Ecco la ragione perché da decenni vanno sempre gli stessi programmi, le stesse strisce alla stessa ora in cui volti noti perpetuamente presentano avendo raggiunto considerevolmente un proprio pubblico; a volte però scadono i contratti ed avvengono sostituzioni di conduttori, vallette, tecnici mantenendo però lo stesso format inalterato magari modificando l'immagine dello studio ma dove la grammatica utilizzata sarà sempre quella. Oppure per chiudere questo cerchio avviene il ricambio generazionale e vediamo giovani inesperti prendere il posto dei vecchi veterani e che scimmiottano il loro eroe (anti-diluviano oramai da reparto geriatrico) senza modificarne le caratteristiche di riferimento.

Queste le ragioni di una televisione stanca che ripete programmi a cadenza annuale, mensile, lasciando la sperimentalità alla struttura interna (digitalizzandosi) di ciò che è stato ampiamente codificato senza sbilanciarsi troppo perché rischierebbe di fare un flop: tutti si lamentano ed evadono dalla tv servendosi di internet o della televisione on-demand.

Da una crisi all'altra abbiamo però adesso gli strumenti per affrontare il discorso precedente: trattavamo infatti gli artisti da commercianti dei propri manufatti all'interno di un format elevato a sistema quando in realtà è il sistema ridotto a format. La missione etica del creativo dovrebbe esclusivamente essere quella del creare, sperimentare, ricercare e fondamentalmente del fare. Poi quello che l'esposizione, la mostra o l'interesse del pubblico ne consegue è un fatto relativo. Invece no.

Quando gli artisti organizzano mostre sono attenti agli invitati, alla critica, a quello che pensano gli altri disabituandosi a giudizi negativi o a critiche costruttive: della serie Lo spettacolo continua.

Le mostre diventano cerimoniali laici in cui ognuno vanta la propria esperienza ed unicità in cui l'artista diviene promotore della propria verità nell'illusione di dover stupire, abbagliare, lasciare stupefatti gli astanti e qualunque visione spiazzante potrebbe risultare fastidiosa e scomoda allo svolgimento dello spettacolo in corso. Come un format, lo spettacolo/esibizione deve procedere tra applausi, brindisi e sfoggio di meta-cultura da supermercato. In questo clima da fiera l'artista perde la propria aura perché inchiodato ad uno schema che dovrebbe rompere a prescindere dal compiacere.

Un'inversione di tendenza dunque dettata dal sistema ed assimilata da questo o da quell'artista: la ripetizione dell'identico: per di più è latente l'illusione che da una mostra venga il successo e da essa la vendita. Molti si scoraggiano dopo diversi tentativi perché i modelli dello spettacolo dettano legge e quello che conta è visto e rivisto in tv perché funziona mentre l'arte, la vera arte è marginale: non può l'artista avere l'approvazione del pubblico, non può per anni fare la stessa cosa, non può creare per gli appalusi. Quello è spettacolo questa è arte. Gli artisti farebbero meglio a richiudersi nei propri studi rimettendosi a dipingere riprendendo il loro lavoro e smettendola di imitare i personaggi famosi dell'ultima ora.

Per fortuna ce ne sono pochi ma esistono e di loro ne sappiamo davvero poco.

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Il ritorno alla clava

"Dove siamo arrivati? Possibile che il vecchio mondo sia in bilico? Noi che pensavamo che la forza brutale della guerra fosse sorpassata assistiamo passivi alle notizie di massacri, stupri e interventi bellici che stanno sconvolgendo il mondo". Questi quesiti balenano nella mente mentre passeggiavo per le affollate vie di Torino: ed ecco all'improvviso un enorme Gorilla sovrastare gli astanti. Sembra tutto normale ma non è così, solo una calma apparente. Le concezioni darwiniane si accavallano fissando la scultura nella piazzetta Reale e giunge inaspettata una celebre frase di Albert Einstein che a proposito della guerra sostenne: "Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza guerra mondiale ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre. Se lo avessi saputo avrei fatto l'orologiaio". Era l'agosto del '45 ed erano appena state sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Lo scienziato aveva sviluppato la teoria della relatività ristretta da cui la materia poteva essere convertita in energia: da qui presero le mosse Enrico Fermi sino a Robert Oppenheimer che rese possibile la costruzione dell'ordigno micidiale. Da quel momento la prima guerra fredda in cui russi e americani si sfidarono in tutto per tutto sino alla corsa allo spazio. Noi della generazione x assistemmo alla caduta del muro di Berlino e credemmo nei valori pacifisti, globalisti, umanizzanti dettati da quella finta pace che travestiva solo una tregua. Negli ultimi trent'anni abbiamo assistito indifferenti alle guerre nella ex Jugoslavia, nel Medio Oriente sino al crollo delle Torri Gemelle che hanno segnato il passaggio ad una nuova era: la guerra al terrorismo motivando il bagno di sangue dall'Iraq all'Afghanistan, dalle primavere arabe sino alle rappresaglie in Ucraina trasformate oramai in un conflitto tra blocchi che da quasi due anni tormentano il mondo. A macchia d'olio dal fronte dell'Azerbaijan verso quello armeno, pensando a quello serbo-kosovaro, alla linea polacca che mette in discussione i B9, all'Ecowas africano e così all'elitarismo della Nato contro le autocrazie Brics a cui stanno cedendo altri regimi militarizzati che seguono un processo di de-dollarizzazione. La guerra dei droni e di armi intelligenti così come la trasformazione economica verso il digitale, il green e l'ID sanitario stanno trasformando lo scenario sociale in qualcosa di impensabile e ingestibile. Oramai siamo entrati nella seconda guerra fredda e il colpo di grazia è dato dall'ennesimo conflitto israeliano-palestinese per la striscia di Gaza che via via si allarga al Libano e che avrà il supporto strategico dei Multipoli geopolitici che alimentano la guerra. Restando ancora ai piedi del gigante di bronzo nella piazzetta Reale in cui dominava fino a qulche mese fa l'opera di Davide Rivalta per l'edizione di Arte alle Corti presso i Musei Reali di Torino che hanno ospitato istallazioni a cielo aperto fino al gennaio 2024. L'energumeno riecheggiava la forza brutale dell'animale reso iper-realisticamente nell'atto di muoversi in un balzo successivo rispetto alla fissità del momento in cui è stato immortalato. "Chissà dove andremo a finire... " ripetevo a me stesso allontanandomi perplesso:"...torneremo alla clava". E mi dileguai consapevole che la terza guerra mondiale fosse già in atto. 

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AFORISMA

Inevitabilismo Progressivo

Spazio e tempo sono distinti in maniera inequivocabile e per questo strettamente connessi: le orbite dei corpi sono soggette a moti circolari e ciò che in esse avviene temporalmente progredisce e mai torna ad essere. Ergo: lo spazio è circolare nel divenire lineare del tempo e per questo parliamo di Inevitabilismo Progressivo. Secondo questo principio i corpi pur tornando nelle posizioni fisiche precedenti mai ripeteranno il medesimo e l'eguale.

Secondo questo concetto dunque, il divenire cosmico è nell'atto stesso del suo essere e per questo infinitamente finito. D'altronde è nel moto la funzione che consuma l'energia. In questo senso la materia compie un possibile destino in un campo ristretto di circostanze ad esso connesse e relative minimizzando inequivocabilmente la remota possibilità del caso e dell'eventuale.

In altre parole è come un orologio che tornando con le lancette sulle stesse ore indichi differenti ore; quindi non ha altra scelta che adempiere alla funzione preordinata in Sé.

Guardare senza vedere

Quando ci guardiamo intorno ed il nostro sguardo si perde tra le vetrine dei negozi, tra le mercanzie inutili o vediamo persone immerse nei propri problemi o proiettate nei luoghi che devono raggiungere. Assenza pura. Noi siamo quella folla anonima che barcolla ciecamente senza rendersi conto di essere imbambolata dagli stereotipi inculcati dai media. Eppure tra noi ci sono i diversi: agli angoli delle strade gli emarginati, i senzatetto, i reietti chiedono l'elemosina per vivere e dormono sulle panchine o nei dormitori se gli va bene. Le stazioni chiudono, le metropolitane chiudono, le chiese chiudono. Bella civiltà. Pure la spazzatura è di marca. Queste anime vaganti e maleodoranti sono scansate dai ben vestiti per non sporcarsi di quella miseria degradante od alla buona vengono remunerati di qualche spicciolo pur di toglierseli di torno. Frugano tra l'immondizia e qualche anima buona li assiste ma il loro destino è segnato.  

Diciamo le cose come stanno: li abbiamo abbandonati. Siamo tutti diversi su questa Terra e per questo tutti dignitosi allo stesso modo. Nessun uomo o donna e per colore, orientamento sessuale o religioso merita d'essere umiliato per la sua condizione. È giusto assistere allo scempio con l'indifferenza verso i propri simili?

Definiamo civiltà una società incapace di prendersi cura dei disagiati e metterli in condizioni tollerabili; definiamo umanità la cecità dei "normali" che nutrono esclusivamente il proprio ego; definiamo giustizia il diritto degli eguali di cui queste minoranze non ne fanno parte. Ebbene finché ci sarà miseria quella non sarà civiltà e quella umanità sarà solo lo spauracchio di una finta giustizia.

Là dove qualcuno soffre abbiam fallito tutti perché non abbiamo fatto niente.

Dai pulpiti tutti decantano rimedi facendo finti moralismi che giustificano la propria arroganza:

"... tanto gli altri faran qualcosa".

Sono stanco della finzione!

Ebbene gli altri siamo noi e i poveretti qui siamo noi tutti che fingiamo misericordia e lasciamo i nostri pari nella merda. 

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Cinema

Can You Ever Forgive Me?

Memories of a Libertary Forger

Capolavoro cinematografico diretto da Marielle Heller tratto dalla biografia della nota scrittrice falsaria realmente esistita Lee Israel. L'autrice morta nel 2014 racconta la vita mediocre di una intellettuale americana nei tempi moderni: la sua sfiducia verso gli altri la porta a vivere infelice nella totale solitudine in una casa d'affitto e senza soldi.

Interpretata da Melissa McCarthy vede la scrittrice entrare in possesso di una lettera e la capacità di falsificarla la pone nella posizione di rivenderla da una collezionista che la paga.

Questo è il principio di una serie di falsificazioni che le permettono di pagare l'affitto e di migliorare momentaneamente la sua situazione economica sempre in bilico.

Persino la sua editrice la caccia dallo studio perché le confida di non aver scritto niente di rilevante: così incontra Jack Hock interpretato da uno splendido Richard E.Grant un artista gay che le fa compagnia tra una bevuta e l'altra.

Anche lui ridotto in miseria dorme per strada e vende il proprio corpo per qualche dollaro. Lei lo accoglie in casa sua e lo coinvolge nella vendita di lettere false.

Ad un certo punto questo sistema di vita prende lo slancio: parte alla volta di una prestigiosa biblioteca dove ruba una lettera originale e la sostituisce con una falsa.

 Inoltre acquista macchine da scrivere d'epoca ed invecchia la qualità della carta su cui scrive con lo scopo di risultare quanto più credibile.

Nonostante il disordine di Jack che sconvolge il suo equilibrio (porta in casa i suoi amanti gay ed inavvertitamente le uccide il gatto) dopo qualche tempo lo caccia di casa mentre l'FBI apre un'inchiesta sulle lettere false ed inizia a girare la voce nell'ambiente dei collezionisti che ci sia in giro un falsario.

Dopo la confessione di Jack, Lee viene arrestata ed al processo nonostante il suo desiderio di collaborare viene messa agli arresti domiciliari tentando di essere integrata nuovamente nella società mediante i servizi sociali per lei finalizzati all'aiuto dei gatti.

Commuove la scena dell'ultima volta in cui in un locale incontra Jack oramai malato ed in fin di vita al quale promette di inserirlo nella sua autobiografia in cui descriverà quell'esperienza che ha cambiato la vita ad entrambi.

La rabbia, la cocciutaggine della protagonista a volte beffarda, altre austera ed arrogante mostrano la difficoltà non solo di una donna ma di una scrittrice moderna col mondo dell'editoria: anche in tal caso comprende che non sia la bravura o la capacità dello scrittore ma la fama e l'immagine che quell'intellettuale si sia fatto nel corso del tempo ad incidere notevolmente.

L'insuccesso e l'emarginazione la fanno sprofondare nell'alcol riducendo la casa ad un letamaio tanto che quando va all'inizio del film ad una festa (a cui non era stata invitata) nella casa della sua editrice trova proprio gli intellettuali modaioli che disprezza e va via scoraggiata.

Il fatto di riportare in vita vecchi autori, comprendendone lo stile, studiandone i modi e riscrivendo lettere che paiono estratte dalle loro vite private le consente di trasmettere in quei falsi stralci di un'originalità parallela i propri sentimenti: è come se aggiungesse pezzi di vita mancante, dettagli a caro prezzo che la storia aveva smarrito ed a tratti si limita a modi e usi che quella scrittrice o quell'autore avevano dal punto di vista grammaticale sino ad elevarli nuovamente.

Eppure restano falsi ed alla fine deve scontare questo illecito con la pena di stato. Questo film deriva dal libro che Lee Israel scrisse negli anni del reinserimento nella società: paradossalmente visse le vite degli altri tranne la propria e la beffa finale è che questo film uscì nel 2018.

Lei morì quattro anni prima.

L'ironia della sorte per una scrittrice che cercò di raccontarsi attraverso gli altri. 

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Tra ingiustizie e standardizzazione di massa

La miccia della disumanità

Un incubo ad occhi aperti: da KUBIN al presente

Ricordo quando ero ancora uno studente e vidi l'opera di Alfred Kubin intitolata Verso l'Ignoto e ne rimasi sconvolto: realizzata tra il 1908 ed il 1910 faceva parte di illustrazioni per l'edizione francese dei racconti di E.A.Poe. L'artista oscuro aveva visto in là nel tempo: siamo noi quelli in fila tra esseri anonimi risucchiati dal nulla e quello che poteva sembrare un incubo visionario ora è diventato realtà. Scorrono per le reti televisive immagini di violenza inaudite. Interi palinsesti hanno come oggetto la guerra: intere testate giornalistiche dedicano spazio all'orrore in corso e tra dibattiti e argomentazioni storiche la narrazione della faida in corso tra palestinesi e israeliani continua senza sosta. Giustamente i telegiornali ci tengono al corrente dei fatti brutali che credevamo di aver messo da parte: è da più di cinquantasei anni che i palestinesi erano stati messi sotto assedio da Israele ma questo non giustifica gli atti terroristici del rave di quella tragica mattina così come delle donne brutalmente stuprate, dei bambini violati o degli uomini umiliati davanti agli occhi del mondo. Le orde terroristiche hanno fatto prigionieri civili e la corsa al massacro non si arresta: il mondo inneggia alla "guerra giusta" e tutti si schierano da una parte o dall'altra seguendo le propria verità.

Sicuramente le ragioni del dibattito saranno fondate così come le manifestazioni spontanee nelle città di tutto il mondo per uno schieramento o per l'altro ma è giusto assistere indifferenti al genocidio di innocenti?

Oltre a questioni territoriali che stanno coinvolgendo anche i paesi confinanti è giusto sapere che in questo momento milioni di civili siano in balia di un assedio e prigionieri di una striscia di terra chiusa tra Israele e l'Egitto e gli Hezbollah libanesi?

Anche in questo conflitto indirettamente americani e russi si contendono i loro interessi e la spinta geopolitica influisce sulla cieca corsa agli armamenti quasi da oscurare momentaneamente il fronte ucraino che da anni aveva il primato.

C'è da considerare che da quando gli statunitensi hanno lasciato Kabul nel 2021 l'equilibrio del mondo si sia frantumato drasticamente. L'escalation della violenza intanto cresce e le vittime sacrificali di questo olocausto sono i bambini, gli anziani, le donne è inarrestabile.

Non confondiamo il popolo palestinese con le orde terroristiche di ribellione, non confondiamo il popolo israeliano con la destra che da anni stava alimentando una certa visione politica.

Evacuano intere città mentre i denari del progresso armano la morte.

Le vittime sono i civili, gli innocenti, sono quelli come noi che lavorano per vivere tutti i giorni e che si muovono come pecore seguendo le scelte dei propri governanti.

Le vittime siamo noi impotenti innanzi al freddo calcolo dei carnefici seduti sui loro comodi divani mentre scelgono ciò che è giusto da ciò che non lo è. 

Fermatevi esseri malvagi e senza scrupoli.

Fermate la guerra e trattate, fermate masse di uomini in marcia contro altri uomini: avete ucciso la civiltà, avete ucciso l'umanità, avete ucciso voi stessi macchiandovi del sangue altrui.

Fermatevi perché il mondo contemporaneo è sull'orlo del baratro; poiché la miccia della distruzione totale è stata innescata; perché i diplomatici hanno fallito, perché i popoli si schierano senza trattare, perché l'opinione pubblica si divide e le istituzioni religiose parlano stando solo a guardare.

Se soltanto una persona, una soltanto soffre davanti all'indifferenza generale dico questo: avete fallito come popoli civili, abbiamo fallito come umani, è fallita l'idea stessa di civiltà.

Fermatevi dunque prima che sia troppo tardi!

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Arte del Fumetto

L'ISPETTORE GADGET

Partiamo dalla storia in sé: il giovane Talon libera Boss Artiglio dai ghiacci e questo lo mette nella condizione di operare contro il bene dell'umanità e per questo esiste sul pianeta un unico ostacolo: l'ispettore Gadget il quale nonostante il fatto d'essere imbranato tra una tecnologia e l'altra tenta di fermare l'inesorabile nemico tra inseguimenti, ricerche e lotte fisiche che con l'aiuto della giovane aiutante Penny riesce a tenere sotto controllo.

Il cartone animato nacque da una collaborazione americana franco-canadese a cui si aggiunsero anche i giapponesi: a metà tra umano e robot il famigerato ispettore giunse sugli schermi italiani a partire dall'85 e le sue strampalate avventure si snodano nella città di Metro City meglio nota come Metroville da cui si muove in segreto per non farsi riconoscere. Eppure dato il suo modo strano di fare, per come è vestito, per come parla o per tutti gli aggeggi tecnologici che gli spuntano dall'impermeabile il suo muoversi in incognito gli risulta difficile.

Ovunque vada si fa riconoscere e nel maggior numero delle volte rischia di rimanerci secco. E' una sorta di macchietta alla 007 a metà tra l'ispettore Jacques Clouseau sulle tracce della Pantera Rosa ed il Tenente Colombo lanciato in missioni spericolate: di solito il capo lo convoca in luoghi inaspettati per affidargli una missione riprendendo lo schema di Mission Impossible.

Penny è consapevole dei limiti del superiore e spesso manda il cane Bravo a controllarlo o a tirarlo fuori dai guai. In altre parole è lei a risolvere le situazioni mentre Gadget è convinto di essere il salvatore del mondo. Il cartone animato andava in onda dapprima sui canali Rai poi sulle emittenti private e riscontrò un discreto favore del pubblico adolescente.

Critica  della Critica

Fama d'arte od essere alla fame

Il privilegio di non esistere

Come abbiamo già avuto modo di affrontare altrove l'impatto di molti artisti attuali non è quello di intendere l'arte non come puro mezzo d'espressione atto alla ricerca, allo studio, alla fatica di trovare una propria forma di linguaggio ma di cercare un mezzo di sussistenza ed in molti casi di camparci.

Certamente sfogliando riviste specializzate o leggendo capiamo che la fortuna di alcuni maestri indiscussi e riconosciuti così come di venditori ambulanti di giocattoli nei bazar dell'arte sia il fondamento di queste cialtronerie modaiole.

In altre parole l'obiettivo dei tanti è cercare la fama, il successo, la visibilità intendendo una mostra come momento di raccolta universale delle genti alle quali apportare cultura. Invece si percorre la via opposta: questo desiderio innato dei vanagloriosi allontana dall'obiettivo stesso dell'arte ed è favorito da tutto un iter di galleristi a metà strada tra venditori e parolieri ignoranti che cercano di piazzare i pezzi davanti alla schiera dei compratori e da curatori che fanno i propri interessi servendosi proprio di quelle opere per farsi una nicchia di seguaci. Non parliamo poi della mia categoria: i critici. Alcuni studiano e tentano la via della ricerca altri invece sono attenti a codificare esclusivamente il proprio gusto eleggendolo a verità sulla quale editano libri che promuovono al ghota degli intellettuali.

Una minoranza invece gravita intorno a questo contenitore vuoto di spettacolarizzazioni e finte promesse: molti pittori sono ancora chiusi nei loro studi, dipingono di notte e sono ignorati dal Sistema. I veri artisti non pensano alla promozione ma a dipingere e molte volte sono ridotti alla fame.

E' scoraggiante scriverlo. E' scoraggiante solo pensarlo eppure è così. Scrittori, poeti, pensatori, artisti veri vivono al di fuori del mondo pur attraversandolo o descrivendolo nei propri lavori ma sono marginalizzati per il semplice fatto di non avere tempo per la vita mondana.

Nella mia carriera critica ne ho conosciuti e vi assicuro che per loro esporre un solo loro lavoro è stato faticoso. Vivono nell'ombra, sono fuori dalle mode, dagli schemi, dalla fama e l'unico privilegio che possiedono al di là di tutto è quello di sopravviere come se non esistessero. 

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DON GUMMER

L'americano Don Gummer è un celebre scultore conosciuto oltre il suo ambiente per essere stato sposato a Meryl Streep dal 1978 al 2017.

Vissuto nell'Indiana fece la suola d'arte e dopo la Yale University ebbe diverse commissioni artistiche rilevanti. Di lui si sa poco forse perché la vita della moglie, nota star di Hollywood lo ha in qualche modo messo nell'ombra come nell'ombra è stato il divorzio silenzioso dopo oltre quarantacinque anni di matrimonio. A questo si aggiunge la figlia dei due, Grace che ha già fatto tempo fa un ruolo nel film intitolato Homesman.

In questo caso i riflettori provenienti dal cinema lo hanno leggermente messo in secondo piano eppure è vasta la sua produzione in tutti questi anni: dalla ricerca della sonorizzazione scultorea di Casa della Musica all'ironia di L'Ottimista del 1998 in cui il senso direzionale dell'elevarsi è dato dal vortice metallico di una struttura geometrico-filiforme che spinge verso l'alto essendo ben radicato nelle sue fondamenta ed è posta innanzi alla Henderson Fine Arts Center.

Non mancano slanci simbolici in Bussola primaria così come in Frontiera del 2017 in cui sembra proprio evocare la doppia elica del DNA rinchiuso in una griglia strettamente connessa ad un oggetto soprastante forse relativo ad un asteroide.

Da questi slanci compositivi possiamo entrare nell'immagine della scultura sottostante intitolata Reflection del 1993 che rappresenta una serie di catene sovrapposte e intrecciate mediante le quali viene simbolizzata la prigionia della mente. L'artista ci dice che ogni volta che la nostra mente si chiude in se stessa resta imbrigliata come in una catena di ferro e noi divenissimo prigionieri dei nostri riflessi interiori. Nulla diviene più complesso di un cattivo rapporto con se stessi e la scultura protesa verso l'alto stigmatizza un po' questo concetto fondamentale.

L'artista rientra nel novero di quella concettualità contemporanea in cui i valori simbolici del secolo precedente vengono deprivati di mitizzazioni, di sogni e di spiritualità ma ridotti alla sintesi, alla logica ed alla razionalità in cui funge da segno riconoscibile il materiale utilizzato quale espressione intrinseca dell'opera in Sé.

Painter Working, Reflection (1993)

Il Periodico d'Arte. Via Genova 23 - 10126 TORINO
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