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NOTA DEL DIRETTORE

XXV Nota del Direttore


Cari lettori,

siamo al n°25 de Il Periodico d'Arte, l'ultimo del 2024.

Sei uscite per quest'annata controversa in cui si sono avvicendati diversi scenari che hanno messo in discussione la realtà storica da cui provenivamo.

Tutto è iniziato anni fa dalla pandemia poi è andato gradualmente crescendo attraverso le guerre internazionali tra blocchi trasversali ed ancora è progredito attraverso il lievitare dei prezzi dai problemi di inflazione e di decrescita monetaria che ha raggiunto il loro apice attraverso le spinte tecno-green, degli immobili, dell'euro digitale così come di regole che trasformeranno le industrie dell'auto e dei beni primari. Da una parte l'Intelligenza Artificiale dall'altra il lento processo di digitalizzazione che oggettificherà ciò che resta dell'umano. Davvero l'essere umano ha deciso di subordinarsi sino a questo livello a realtà predittive delegando la tecnologia alla sua libera iniziativa? Come dicevamo l'oggettificazione è una proiezione sbilanciata del Sé attraverso la tecnologia che super-governerà su di lui, attraverso lui sino a ridurne lo spazio di libera azione e scelta individuale.

Anzi: la macchina sarà ulteriormente in grado di prevedere le sue scelte programmando sui suoi gusti e le pubblicità aggiornate a questo li tartasserà oltre ciò che sta già avvenendo. D'altronde il passaggio dal mondo bucolico a quello delle macchine avvenne nel corso delle rivoluzioni industriali che spinsero le masse contadine ad abbandonare le campagne trasferendosi nelle città e divenendo così operai di quelle fabbriche per cui operavano. Eppure proprio l'avanzamento tecnologico ha consentito alle macchine di costruire altre macchine e si è giunti all'automazione in cui gli operai non servono più.


In questa fase post-industriale le fabbriche cambiano assetto e gli operai convertiti in operatori specializzati saranno soppiantati dall'avanzamento di un'Intelligenza Artificiale che dapprima ridurrà il numero di questi addetti alla semplice manutenzione per poi eliminarli del tutto. Sicuramente l'avanzamento della tecnologia migliorerà tanti aspetti della società: dalla medicina alla ricerca scientifica, da quella spaziale a quella tecnologica.

Eppure il rischio di questa transizione che vede in campo più di otto miliardi di esseri umani veicolati da super macchine prive di coscienza e leader che non badano al senso della vita del singolo ma giocano a Risiko con le nostre vite è preoccupante.

Da questo scenario catastrofico sono state accumulate testimonianze di artisti, di mostre, di eventi legati al mondo dell'arte che sentono i riflessi di queste tendenze comportamentali.

Dalla macro Storia alle singole storie il mondo dell'Arte deve fare i conti con le scelte politiche, ideologiche e morali di una società. Non sarebbe possibile indagare sulla vita di un artista e comprendere la significazione ultima della sua produzione creativa tralasciando le motivazioni esistenziali del suo adattamento o esclusione dalla realtà sociale di provenienza.

I caratteri extrartistici incidono proprio sull'atto esecutivo del fare arte perché la psiche è agita dal contingente e la vita, gli affetti, i movimenti di un essere umano ne costituiscono il carattere, lo stato interiore così come la propria visione del mondo. In questa direzione ho mosso le mie ricerche tentando di documentare al meglio elementi strutturali che consentano ai posteri di valutare attentamente lo stato delle cose di ciò che al momento è attuale. 

XXIV Nota del Direttore


Cari lettori,

il 24° numero de Il Periodico d'Arte corrispondente alla quinta uscita del 2024. Questo numero è stato fondato su tre tematiche essenziali di cui desidero soffermarmi.

La prima riguarda l'evocazione storica ed il richiamo analitico di considerazioni ai fatti che ricordano l'11 settembre del 2001 quando un gruppo di terroristi appartenenti ad Al Qaida sconvolse il mondo attaccando le sedi del potere finanziario americano lasciando un vuoto psicologico nelle persone ed aprendo ad una nuova era storica: ovvero a quella in cui noi ora ci troviamo. L'accelerazione scientifica, tecnologica e ideologica da allora è cresciuta portando l'uomo nella sua singolarità e le società a guardarsi intorno con una nuova ottica. La globalizzazione si è rinchiusa in se stessa, i mercati si sono egemonizzati determinando nuove prospettive e disastri di cui noi ora ne stiamo raccogliendo i frutti.

La seconda riguarda le interviste ad artisti viventi che tra un modo e l'altro di concepire questi fatti reagiscono attraverso la propria forma d'espressione artistica. Il taglio giornalistico qui predomina su quello critico proprio con l'intenzione di farli parlare: ciò che spiego ai diretti interessati è proprio il fatto è che oramai di arte parlano tutti: dai critici ai galleristi, dai curatori alle persone che frequentano gli spazi deputati all'arte. Ciò che mi preme è lasciare a loro la possibilità di dire

qualcosa proprio perché di loro in fondo parlano tutti. Dagli intellettuali agli analisti le loro opere sono oggetto di diverse visioni quindi chi in realtà non dice mai niente sono sempre loro:


tra mostre ed opere stanno sulla bocca degli altri. Le pagine che dedico a queste interviste hanno proprio lo scopo di far esprimere le persone che si nascondono dietro alle loro opere lasciando così una testimonianza, un documento, una visione personale di chi crea, di chi sente, di chi vive l'opera attraversando la propria vita e l'epoca in corso.

La terza riguarda infine l'impatto storico: il cambio di paradigma epocale tra un'era e l'altra è determinata da fatti storici che incidono sui valori morali ed etici; le scoperte scientifiche e l'impatto tecnologico influiscono sui mercati e sul modo di intendere il mondo. Gli usi ed i costumi cambiano lentamente senza farcene accorgere eppure incidono sugli stati emotivi di coloro che erano adattati ad uno schema comportamentale. L'arte diviene riflesso di questi cambiamenti ed il linguaggio artistico mette in campo gli schemi, i costrutti, i paradossi di queste variazioni: ci sono coloro che seguono la grande onda del cambiamento sfruttandone le potenzialità, altri invece che ne risentono sentendosi tagliati fuori, altri ancora che pur tentando l'adattamento ne soffrono tendendo così a criticare, a polemizzare, a ricordare.

Tendenze, vie, concezioni e teorie che incidono tra loro attraverso interventi dialettici, teorie precostituite ed analisi di esperti che hanno trasmesso ai posteri modi di intendere la realtà e di ricrearla attraverso la propria visione del mondo.

In questo coacervo culturale gravitano pensatori, scienziati, critici, psicologi, sociologi, teologi e gli artisti assorbono tutto mettendo in campo i propri lavori. Il nostro compito è di trasmettere al lettore queste ricerche in atto senza pretesa alcuna.

XXIII Nota del Direttore


Cari lettori,

siamo al n°23 de Il Periodico d'Arte ed è basato sulla ricerca artistica di quei linguaggi che mettessero in luce gli aspetti paradossali del nostro tempo. Partiamo da una constatazione: ogni epoca è contemporanea e su questo nulla ci piove; inoltre i modelli di riferimento tendono sempre a mettere in discussione l'attualità contestandola attraverso attacchi dialettici, creativi, proteste ideologiche e soprattutto rivalutando sempre i codici espressivi del secolo precedente.

Mai come in questa fase ma soprattutto all'inizio del 2000 c'è stata una sorprendente rivalutazione dei maestri dell'Impressionismo e fondamentalmente di Vincent Van Gogh e di Paul Gauguin.

Negli ultimi anni invece fa da giocoforza il richiamo al Rinascimento come epoca di riferimento ad un'epoca di grandi maestri e virtuosismi che celebravano in Italia i grandi casati nobiliari o quelle famiglie illustri che hanno rilanciato la cultura.

Infine Caravaggio e i Caravaggeschi sempre in nome di un'eccellenza esecutiva che smuovesse gli animi e le passioni anche del fruitore.

In altre parole questa rivalutazione dell'800 come preambolo alle iniziative novecentesche e del '500 come preambolo ai differenti barocchismi sintetizzano un'epoca che tenta di ristabilire il proprio rapporto con quei valori pittorici che il Concettuale e tutte le esperienze del secondo dopoguerra ha apportato nel mondo dell'arte.

La critica stanca dei voli pindarici degli artisti e di quell'intellettualità divenuta oramai stantia e ripetitiva ha spinto alla rivalutazione del bello, alla ricerca di equilibri che non mettessero sempre al centro il giudizio così come l'idea dell'artista affinché trovasse una nuova collocazione al vero od al giusto; 


il concetto è che per una società in crisi in cui i valori su cui si era fondata stanno lentamente sgretolandosi sotto i piedi è la normale ricerca di un passato i cui fasti di un linguaggio universale divengono base da cui ripartire. 

Dalle interviste, dagli interventi di critici, dall'analisi di opere e produzioni filmiche, dallo sviluppo critico di testi al linguaggio direttamente creativo osserviamo questa dispersione culturale che non è altro che decadimento di valori e certezze.

Sembra che tutto si sia impantanato; sembra che il tempo della bellezza sia oramai lontano; sembra che un mondo che accetti la guerra, che conviva con il disastro ambientale o con l'incubo di una prevaricazione tecnologica non offra vie d'uscita.

Gli artisti percepiscono questo disagio e lo esprimono nei loro operati condividendo i paradossi di una società massificata, omologata, standardizzata.

A questo segue un pubblico dissociato dalla disequazione palpabile di opere introspettive che sembrano stare dentro le macro-questioni o dissociarsi dal tutto tentando scappatoie cerebrali.

La critica poi codifica, decodifica, rimette insieme e rompe quasi come se la filosofia psicologica e sociale potesse rimediare a questo scarto incolmabile tra l'artista e la sua opera, tra l'artista ed il mondo in cui vive, tra lo spettatore e l'artista, tra lo spettatore e la realtà in cui vive e dove tornerà a fare i conti.

Dopo tante riflessioni, analisi iper-testuali, confronti ed esperienze vissute sembra che il vecchio e il nuovo si cozzino perché non dotati di senso, di prosecuzione temporale ma che in fondo tutto si appiattisca. Da qui parte lo slancio verso il nuovo ma ricade sempre nel già fatto, nel già detto, nel già vissuto. La crisi estetica è lo specchio di una crisi etica che poi diventerà sociale.

XXII Nota del Direttore


Cari lettori,

siamo arrivati alla terza uscita del 2024 corrispondente al 22° Numero del bimestrale. Il taglio che ho generato in questa ricerca è stato fondato sull'interazione con i pittori oltre che con gli spazi e gli eventi di cui abbiamo trattato.

Non tutte le esperienze in merito sono state positive: da una parte l'ottica di effettuare interviste ai pittori che considero materia viva di questo studio mi ha portato a scontri dialettici in cui venivano minate le radici stesse della mia ricerca; esiste gente che per fortuna comprende il senso storico della ricerca teorica e del valore che un'intervista ha come documento, testimonianza portante di chi è nel campo dell'arte e trova così nel mio giornale il mezzo per parlare e dire ciò che pensa del mondo dell'arte mentre altra più riluttante o per fattori economici o privati non vuole parlare e dire la propria in merito. Dall'altra parte invece esistono persone arroganti che pur interessate alla proposta si tirano indietro per il semplice fatto che questa testata pur essendo regolarmente registrata presso il Tribunale di Torino e svolta da un giornalista regolarmente tesserato all'Ordine dei Giornalisti non rappresenti un giornale famoso: pensano ai follower, al numero di lettori chiedendo addirittura se esca nelle edicole quando queste chiudono perché oramai la carta è un lusso e tutto si muove online.

A prescindere da queste scelte ho fondato questa uscita proprio sull'impatto che il Sistema dell'Arte gioca sui protagonisti assoluti: gli artisti e ho mostrato il valore quanto la cieca vanità che molte volte gli si ritorce contro. In linea di massima ho riscontrato molte resistenze proprio sul piano comunicativo: molti pittori così come gli scrittori credono esclusivamente nel proprio operato o nelle idee che propongono non accettando visioni differenti.



Immaginiamo ad esempio (in campo) di trovarci a presentare una mostra; ora se è una personale e presento al pubblico le ragioni che hanno indotto l'artista a compiere quelle scelte stilistiche affrontando quelle date tematiche in un contesto specifico e servendosi di quelle tecniche bisogna guardare gli interlocutori e rendersi conto di quale sia il loro livello di resistenza ad ascoltare tali ragionamenti. Di solito i curiosi vanno ai vernissage più per smangiucchiare o fare due chiacchiere da bar che per affrontare tematiche intellettuali.

Abbiamo poi le mostre collettive in cui ogni artista può presentare un trittico oppure un dittico sino ad un'opera sola: ricordo una volta di essere stato invitato in una galleria di Torino a presentare una collettiva di cinquanta artisti di cui ognuno presentava un pezzo: fiere da circo in cui tutti desiderano spiccare, primeggiare sull'altro e tra un dipinto e l'altro ognuno voleva farsi la foto con il sottoscritto che era andato là solo per svolgere il suo lavoro. Per di più diventando una gara sul piano delle vendite ognuno puntava a parlare di prezzi, di avere o di non avere venduto in precedenza.

Insomma, un manicomio senza vie di uscita. Non parliamo poi di quegli agglomerati mastodontici di cui ho già trattato in precedenza ovvero delle fiere o di questi appuntamenti a cadenza annuale che ammassano artisti italiani e stranieri in un ipermercato dell'arte. La gara sta nel fatto solo di farsi vedere ed un piccolo giornale come questo a chi può far gola? Per fortuna a nessuno: nel mio caso non scrivo per il vile denaro ma per necessità: non so fare altro e per bene o male che sia è il mio lavoro e non saprei fare altro. Mi emarginano? Non mi leggono? Non guadagno? Sono lieto di essere al di fuori del mondo. 

XXI Nota del Direttore


Cari lettori,

il 21° numero de Il Periodico d'Arte corrispondente alla seconda uscita del 2024 introducendoci nelle vie dell'Arte contemporanea attraverso uno sguardo che parte dal mondo sino a calarci nello scenario italiano in cui abbiamo affrontato mostre sino ad intervistare artisti che ci hanno lasciato la loro testimonianza essenziale per questo tipo di analisi.

A prescindere dalla tipologia creativa è dominante il distacco critico con il quale sono state affrontate queste tematiche: che si tratti di cinema o pittura, che si tratti di letteratura o dell'arte del fumetto qualsivoglia forma di linguaggio creativo mette in campo codici espressivi universali diretti al pubblico.

Quest'ultimo proprio gioca un ruolo fondamentale nell'interscambio ricettivo. Un tempo i codici dell'espressione erano elaborati in botteghe, scuole ed accademie con l'obiettivo di perpetrarli in una società retta ideologicamente dall'alto, oggi invece sono esclusivamente strumenti conoscitivi che vengono dati al singolo artista con lo scopo di personalizzarli e diversificarli secondo una propria maniera. In altre parole se nel passato erano i grandi casati nobiliari ad esaltare le proprie virtù ed il proprio retaggio servendosi di quegli artigiani capaci, oggi l'individualità del Sistema ha reciso questo cordone ombelicale spingendo i mecenati ad acquistare per aste o per gallerie rinomate nomi importanti e collezionabili. 

L'arte non è condivisione di una bellezza universale ma  di una  corsa  al  grande mercato  per rientrare in 


questo sistema collezionistico, privato, monopolizzato in cui l'artista tenta di far rumore, di spiccare, di farsi vedere non tanto per la sua abilità e capacità tecnica ma per la vivacità delle sue idee. Ecco fiorire come funghi rassegne a cadenza annuale in cui infiniti elenchi di nomi sconosciuti costellano queste insopportabili fiere della vanità in cui ognuno mostra il proprio manufatto chiamandolo opera. Il pubblico si muove sbigottito tra queste forme di spettacolarizzazione artificiale trovando nell'infinita diversità lo stesso principio di rottura.

L'estetica intelligente primeggia sull'opera/vettore di questa idea appiattendo il linguaggio estetico a specchio per allodole in cui gli artisti si cimentano in chi fa più rumore, in chi fa la cosa più strana ed alla fine dal circo mediatico vengono fuori gli stessi nomi di quegli artisti/influencer che sono stati presi come modelli e copiati, scimmiottati, imitati in nome del successo che hanno ottenuto.

Un giornale d'arte e cultura serio come questo non può dunque limitarsi a pubblicizzare questi giocolieri rimanendo passivo dietro la coltre dell'apparenza facendo finta che tutto vada bene o che lo scempio di questa dispersione estetica venga accettata per il semplice fatto di schierarsi dalla parte di quel buonismo bigotto incapace di dire ciò che pensa. Solo tendenze!

Su questa linea critica che tenta la via dell'autenticità non ci saranno sicuramente simpatie ma questo non deve incidere sul valore etico dell'analisi stessa. Il giornalismo artistico deve restare informato sugli sviluppi dell'arte nel corso del tempo mantenendo viva la fiamma dell'attualità e come tale accogliere, criticare e definire ciò che avviene abolendo quella sorta di accondiscendenza che accetta tutto perché mostrato al pubblico 

XX Nota del Direttore


Cari lettori,

inauguriamo il quinto anno de Il Periodico d'Arte con questa prima uscita del 2024 carica di spunti dialettici. Il ventesimo numero si fonda proprio su domande che pongo agli artisti viventi, agli editori oppure che pongo a me stesso tentando la disperata via analitica leggendo e documentandomi analizzando fonti di varia natura sino a stabilire le risultanti razionali che sviluppo in maniera (spero) imparziale: dai dati storici che influenzano notevolmente la creazione artistica alle dichiarazioni di personaggi influenti che alimentano un modo di pensare e sviluppare concretamente all'interno della società civile.

Per essere chiari mi rendo conto che nelle diverse redazioni giornalistiche che spuntano come funghi di qua e di là nel nostro Paese esistano influenze esterne motivate da fattori economici, politici o ideologici che debbano inequivocabilmente schierarsi con questa o quella ideologia a prescindere dal fatto che poi prenda forma concretamente nella realtà. Ancor di più nelle testate che hanno per oggetto l'arte od in quelle rubriche che approfondiscono questo settore su riviste specializzate ci sia una tendenza al mantenimento di un'etica ancor prima di effettuare una ricerca e scrievere conseguentemente un articolo su un argomento specifico.

Ovvio che l'etica costituisca deontologicamente il fondamento di un giornale di qualsiasi natura eppure non dovrebbe essere la verità lo strumento determinante sul quale basare la propria ricerca se non addirittura sconvolgendo la stessa coerenza da cui quel giornalista era partito?  


Detto ancora diversamente: a prescindere dai modelli imposti da ciò che risulti coerente per quella linea editoriale non dovrebbe quel suddetto ricercatore, quel giornalista che si appresta a diffondere una notizia attenersi alla validità documentata di quella informazione? E se quella notizia dovesse risultare scomoda? Se quei dati diffusi ma veri e dimostrati attraverso fonti attendibili dovessero entrare in contraddizione con una data ideologia ed etica di fondo cosa farebbe quella determinata testata? Credo che in linea di massima tenterebbe la via del silenzio o della mediazione dei toni per non esporsi troppo.

In questo caso trattiamo di arte dunque il tipo di indagine consiste nel guardarsi intorno ed osservare analiticamente ed in maniera pressoché oggettiva le forme di linguaggio che si stanno muovendo intorno.

Questa operazione che sembra apparentemente semplice comporta però uno sbilanciamento strutturale rispetto ai problemi etici di cui trattavamo sopra nel senso che partendo proprio da queste forme linguistiche (pittura, scultura, architettura, cinema, etc.) si entri inavvertitamente nella struttura sociale ove questi mezzi di comunicazione prendono forma.

E' possibile dunque essere obiettivi? Come è possibile allora rimanere inerti rispetto a queste derive culturali del singolo artista che si cimenta con tutto ciò che lo circonda? Ecco la motivazione per cui chi fa informazione debba tenersi alla larga da una posizione precostituita ed aprioristica in nome della libertà di pensiero e linguaggio.

XIX Nota del Direttore


Gentili lettori,

il Diciannovesimo Numero de Il Periodico d'Arte chiude un altro ciclo: rappresenta la Sesta ed ultima Uscita del 2023, quarto anno in cui oramai questo Bimestrale coopera all'informazione ed alla divulgazione del Pensiero Critico. Ogni numero è stato centrato su un argomento portante: la prima uscita ad esempio aveva a cuore il tema della Guerra; il secondo quello dei Naufraghi così come il terzo quello della Disperazione; il quarto descriveva la Povertà ed il quinto invece la Follia. L'ultimo invece tratta dell'Ego, ovvero del male incurabile che flagella la civiltà attuale incapace di intendere e volere. Al culmine dell'informazione siamo sopraffatti dalla disinformazione, dall'alienazione, dall'emarginazione secondo cui come isole lontane siamo incapaci di relazionarci realmente. L'emotività nutrita dall'iper- tecnologia ottenebra le nostre menti e l'umanità parcellizzata nei propri abitacoli, separata dalla struttura gerarchica del lavoro e dalla morale così come dall'etica controllata dai sistemi digitali che offrono sbocchi di dialogo impersonale hanno definitivamente sganciato il soggetto dal tessuto sociale sino a risputarlo in un universo parallelo fatto di specchi, di autoreferenzialità e paure oltre le quali non può andare. L'uomo attuale vive in questa introversione senza precedenti in cui sostituisce i fattori naturali non riproducendosi più e rinunciando all'idea tradizionale di famiglia, non recandosi sul posto di lavoro servendosi dello smart working e annullando gradualmente i rapporti sociali sostituiti da Internet.


L'Ego derivato determina un soggetto solo, alienato, spersonalizzato e incapace di adattarsi concretamente alla realtà. L'analisi psicoanalitica sino a forme di espressioni creative al limite del poverismo o del concettuale hanno decantato questa chiusura sino a film, libri ed opere poetiche che preconizzavano questo tipo di spersonalizzazione. L'arte dell'io è un'arte egoica, vuota, svuotata di tutti i principi sociali in cui le generazioni precedenti avevano creduto: l'uomo solitario, digitalizzato, onanistico non ha futuro. Risucchiato dal mondo virtuale soccombe alla Natura, lontano da Dio, disinteressato dalle questioni storiche e sociali, politiche e morali. Le nuove generazioni implodono incapaci di prendere per mano la situazione concreta in cui guerre, pestilenze e recessione finanziaria stan portando l'occidente allo sfacelo. Che sia l'arte lo strumento di questa riflessione; che sia l'arte lo strumento dialettico attraverso cui tentare la via ideale della liberazione; che sia l'arte a far progettare mondi alternativi in cui le anime, le persone, i concetti tornino a prendere forma sino alla loro futura attuazione. Questi i principi che mi hanno condotto alla definizione di teorie esposte anche al centro di questo numero che chiude il 2023. Cosa ci riserverà il futuro? Torneranno gli artisti a far parlare della propria filosofia estetica? E tra le innumerevoli opere che si muovono in questo oceano sconfinato troveremo frammenti di un linguaggio consapevole capace di essere puro per quanto universale? In questo risiede la speranza dei ricercatori di verità come il sottoscritto che non desidera affatto smettere di credere, di cercare, di analizzare. Da qualche parte esiste qualcosa capace di ridare forza, luce, verità al nostro amato mondo. Ne sono certo. 

XVIII Nota del Direttore


Cari lettori,

il diciottesimo numero corrispondente alla Quinta uscita del 2023 spinge a riflessioni profonde sul significato ultimo di questo giornale d'Arte e Cultura. Come ogni volta infatti è una tematica centrale a far da padrona: in questo caso è l'elemento della FOLLIA a scorrere tra queste pagine confrontando l'idea di Genio sino ai presupposti di disadattamento ed esclusione dalla vita sociale sino a forme che decadono nella patologia e nella pazzia in quanto tale. Il supporto psicoanalitico stabilisce un ponte tra le forme artistiche e le manifestazioni di sofferenza individuale. Da questi presupposti è sempre presente il principio di di intelligenza artificiale quale spettro inevitabile di una società malata ovvero alterata dai sistemi ipertecnologici che hanno sconvolto progressivamente la vita degli individui scandendola in nuove nicchie comportamentali e ripetitive oltre le quali non è consentito attivarsi liberamente. A questo punto mi è stato indispensabile domandarmi l'arte in quale posizione si trovi e l'artista a prescindere dall'epoca di riferimento come percepisca la sua opera in conformità al mercato del suo tempo ed alle idee filosofiche che ne stabiliscono l'appartenenza logica. Tra la naturalezza, la spontaneità e la sovra-cultura, l'indottrinamento e l'omologazione come deve comportarsi l'artista, il folle, il dissacratore? Da una parte assistiamo ad artisti che seguono le scie del Mercato a sua volta dipendente dal Sistema Arte: questo è il regno delle menzogne, dei modaioli, delle fiere, degli imbrattatori ciarlatani che seguono il mercato e desiderano esclusivamente vendere il loro prodotto; dall'altra parte abbiamo una piccola schiera di dissacratori isolati che creano a prescindere da tutto e tutti.

Questi dannati, questi angeli selvaggi sono destinati all'estinzione perché disdegnando il Mercato questo li esclude ed il Sistema Arte non contemplandoli li abbandona al loro destino: saranno dimenticati. Costoro, i pazzi, gli esclusi, i folli girano in tondo come nell'opera di van Gogh; oppure si fingono pazzi come l'Amleto di Shakespeare il quale per tornare a governare dopo l'uccisione di suo padre per mano dello zio sarà costretto a fingersi pazzo. Eppure in questo marasma di follia e di silenzi per tutto ciò che resta al di fuori esiste solo il silenzio, la tenebra, il vuoto cosmico. E' possibile considerare arte solo quella nutrita schiera di vip che gravitano intorno alle prime donne dell'arte, ai consiglieri, a questo esercito di menestrelli patentati che fanno parte del circo mediatico dentro un sistema finanziariamente superiore? E coloro che giudicano intellettualmente? I dotti, i critici, le gallerie? Tutto si muove in funzione del denaro: senza denaro l'artista è destinato a fallire perché non avendo i fondi per creare o smetterà o si piegherà alle leggi imposte dall'alto. Il folle dovrà mettere la testa a posto se desidera conformarsi e desidererà conformarsi per non essere dimenticato. Il denaro consente all'artista di comprare i materiali, di esporre nelle gallerie e di trovare critici disposti a lavorare per loro. Impossibile in tutto questo parlare di rinascimenti: il Rinascimento fu di corporazioni artigiane nelle mani di Signori feudali ora si parla solo di individui randagi alla stregua del miglior offerente. La nuova modernità accetta questi presupposti e andrà avanti sino al momento in cui nasceranno nuovi Geni 


XVII Nota del Direttore

Cari lettori, 

eccoci al diciassettesimo numero de Il Periodico d'Arte.

Il quarto anno del Bimestrale giunge a questa Quarta Uscita del 2023 in cui sono state trattate diverse realtà artistiche secondo il punto di vista che accomunava le tendenze dialettiche attorno al tema della Fortuna e della Sfortuna.

L'aspetto scaramantico da una parte in cui sono state analizzate le biografie di artisti come ad esempio Judy Garland sino poi all'abominio della povertà che incombe nella nostra macroeconomia.

Proprio sul tema della POVERTA' abbiamo descritto i riferimenti ad altre epoche recessive in cui le tendenze artistiche tendevano alla descrizione pittorica filo-espressionista e che oggi tende ad un revisionismo post-concettuale analogo.

Dagli esempi tradizionali dell'arte del passato si giunge così ai poverismi attuali sino al moderno Spazialismo di Lucio Fontana che ha segnato una lacerazione con il passato spingendo la critica ed il gusto del suo tempo a frontiere inesplorate.

Povertà coincidente con Sfortuna!

Dal punto di vista estetico a quello teorico ecco che incombe questo senso scaramantico nell'arte che vede abitudini, regole ed apparenze infrangersi nelle vite private di Maestri che hanno dovuto mantenere in relazione grandezza storica e vita privata al di là delle apparenze.

Ognuno ha interpretato al meglio queste tendenze sino a cadere nella superstizione becera od in atti psicotici al limite del normale: in ogni caso tentavano di mantenere equilibrio tra la realtà ed il mondo delle idee, l'extra-mondo da cui queste idee provenivano e con il quale non volevano affatto perdere il contatto come fonte della loro

sorte artistica. In altre parole molti geni dell'arte di ogni tempo hanno sempre saputo di essere dei Medium per questa realtà e che la loro fama derivava proprio da questa ambiguità.

I riti scaramantici per allontanare la sfortuna, la morte, la povertà, il silenzio consisteva nel fermare il tempo consolidando la Fortuna dalla loro parte: e se non avessero avuto più l'ispirazione? E se le loro opere non fossero più piaciute al grande Pubblico? E se la iella li avesse colti?

Fermare il tempo attraverso i propri riti significava creare: il pittore con i colori, il musicista con le note così come lo scrittore con le parole bisognava esorcizzare la fortuna fissandola nel tempo propria con le proprie opere d'arte. Dall'altra parte invece il silenzio, il buio della memoria, l'oblio dell'arte in cui tutto viene archiviato ed appiattito.

Ciò che storicamente va a finire nel dimenticatoio è morto o magari è andato di moda ma alla fine ha ceduto al tempo, al gusto ed è stato digerito sino al punto di essere caduto in disgrazia. Ecco la miseria dell'arte, la povertà delle cose ridotte ad oggetti insignificanti: il terrore dell'artista che si sente inutile, dimenticato, incapace di creare.

Ecco la sfortuna che incombe su di lui; il mercato non lo considera, il pubblico non ne parla; i libri lo dimenticano.

La povertà storica di una Grande Storia che autodistrugge Sé stessa servendosi di una parte consistente della società per dare spazio ad un'altra è disposta a sacrificare allo stesso modo in cui una piccola storia di uomini divengono modello eroi/antieroi da seguire o per restare in vita attraverso l'arte oppure soccombere ed essere dimenticati. Qui giace la sfortuna e da qui origina la fortuna, la buona sorte, la fama a cui tutti ambiscono.

XVI  Nota del Direttore

Cari lettori, 

siamo giunti al quarto anno de Il Periodico d'Arte. La terza uscita del 2023 ovvero il sedicesimo numero ci catapulta direttamente nella nuova estate dopo un primo semestre piuttosto complesso: il nuovo governo in carica ha sicuramente responsabilità legislative non indifferenti con questa sfida all'energia propugnata dalle grandi multinazionali che inneggiano allo scontro russo-ucraino in atto da oltre un anno; così come dal problema degli sbarchi, della disoccupazione e della recessione che sta facendo affondare interi reparti della produzione nazionale; e l'Europa? Quali garanzie può dare l'Unione Europea in una situazione complicata come la nostra? Il nostro Paese è da tempo sul punto di crollare: svenderemo tutto progressivamente? Innanzi a simili interrogativi l'arte continua imperterrita a muovere le sue gesta attraverso l'organizzazione cieca di eventi che partono dai Musei, dalle Fondazioni, dalle Fiere ai grandi contenitori - Brand che pubblicizzano marchi, etichette e prodotti da importare/esportare nello scacchiere internazionale. Nonostante la controversa guerra che mette in discussione la fluidità dei trasporti internazionali, nonostante la diversificazione dei mercati finanziari che stipulano contratti con quel gruppo di nazioni scartandone altre, nonostante le disparità etiche, sociali e culturali che il multiculturalismo deve affrontare in nome dell'equità siamo in un punto di non ritorno. E' disperazione pura.

L'arte attuale è spuria perché tenta la complessa via dell'indifferenza politica proprio adesso che dovrebbe dire la sua sulle situazioni storiche che stanno trasformando la Nuova Normalità o le nuove normalità. Forse è corretta questa distanza storica, questo abisso sostanziale che esiste tra la realtà e l'arte: forse è determinato dal desiderio di non prendere parte attiva alle ideologie, ad un gruppo ad una linea di questa nuova cortina di ferro tra occidente e oriente; forse è determinato dalla speranza di non offendere nessuno nella speranza che poi, una volta finite queste rivalità si torni amici come prima e che niente abbia potuto ledere gli equilibri così come la giustezza dei rapporti interpersonali. Oppure dobbiamo pensare alla mancanza di autocritica, di obiettività così come di spirito battagliero da parte di una generazione conformista incapace di definire, di giudicare o di prendere una decisione che sia quantomeno coerente con le proprie scelte o stile di vita. L'arte attuale è spuria, anonima, insapore, incolore, sciapa. Qua e là alcune istallazioni, alcune performance, alcuni lavori rievocano l'eclettismo artistico attraverso la citazione così come un becero revisionismo passatista di bassa leva che non porta da nessuna parte. Girare per musei semivuoti, per gallerie anonime così come tra i banchi del mercato fieristico le merci esposte hanno solo un prezzo, un valore economico di scambio e possono essere acquistate come qualunque cosa e come qualunque cosa ridotte al nulla totale. Nelle periferie di questa post-globalizzazione la centralità ideologica è stata annientata. L'impersonalità domina sovrana senza scuola, senz'anima, senza eredi. Ho chiamato Ciclo Oscuro il mondo nullificante in cui nulla ha né arte né parte.

XV Nota del Direttore

Cari lettori,

il quindicesimo numero prevede in questo complicato 2023 un'operazione assolutamente critica. Il periodico d'Arte è arrivato ad un punto di analisi approfondita di tematiche che toccando l'arte, la cultura, la letteratura, il cinema e le arti in generale comprendendo la matrice di un linguaggio universale che deve perennemente fare i conti con la realtà di riferimento. Trovarci in un'epoca come questa in cui siamo finiti nel pieno di una guerra, in cui la globalizzazione ha fallito trasformandosi in concentrazione di ricchezza in cui si credeva nei valori della famiglia e delle istituzioni per poi appiattire anche questa illusione, trasformando così ogni processo di uguaglianza in alienazione così come di tutta una serie di credenze democratiche appiattite poi dalle imposizioni sanitarie grazie alle quali abbiamo relegato persone che non credevano ad un tipo di narrazione. La libertà stessa si è accartocciata perché schiacciata dalla compressione di qualsivoglia riferimento culturale: il capitalismo becero ha assorbito tutto soprattutto in questa fase post-globale in cui gli esseri umani sono stati trasformati in forma-merce globalizzata. L'omologazione tecnologica, mediatica e informatica ha fatto il resto spingendo la soggettività alla nullificazione ed alla perdita di valore. Le masse svuotate ricercano il modello: la ripetizione dell'identico diviene l'unica credenza in questo mondo sterile. In questo dominano le macchine, l'intelligenza artificiale.

Il fatto che siano proprio le macchine a creare mediante algoritmi il controllo delle azioni umane stabilisce una realtà virtuale al margine del reale: saranno le piattaforme digitali ad accogliere il neouomo con la sua realtà aumentata, in spazi metaversici progressivi in cui non ci sarà bisogno di impatti concreti. Gli avatar, i surrogati di pensiero ed i sostitutori generanno nuove figure professionali: i SOSTITUTOR ci diranno come parlare, come muoverci, cosa pensare, come vestirci; dapprima saranno dei suggeritori, poi i nostri migliori amici, poi prenderanno il posto di noi stessi nelle nostre stesse vite ed alla fine agiranno in nostra vece perché in una società fondata sull'immagine non è la sostanza a contare ma l'apparenza, il politicamente corretto, valutando non tanto quanto valga per noi ma cosa pensino gli altri. In una realtà alterata, sostituita dalla macchina, potenziata dall'intelligenza algoritmica non vi è spazio per il sentimento, per la debolezza, per la sfumatura decadente: ogni cosa è sistematizzata. Ogni elemento è ponderato per un finalismo dialettico: è quantificato da un super-analista intelligente che ragiona in vece dell'uomo. Non è già così al tempo in cui ognuno di noi si muove per il mondo con il proprio smartphone? Non siamo già incollati perennemente da strumenti digitali che operano per noi, dicendoci dove siamo, riempendo il nostro tempo di immagini? Surrogati appunto che non avendo una coscienza stanno portando la civiltà all'incoscienza.

XIV Nota del Direttore

Cari lettori,

siamo giunti al quarto anno de Il Periodico d'Arte. Da Quadrimestrale il primo anno lo abbiamo reso Trimestrale nel secondo ed ora per il secondo anno consecutivo resta Bimestrale. Questo quattordicesimo numero che apre alla Quarta Stagione mantiene infatti la struttura Bimestrale sostenedo più o meno intatte le rubriche relative al Cinema, al Teatro, al Fumetto all'Architettura così come alla Letteratura. La Pittura fa da padrona descrivendo le mostre nazionali ed internazionali che a partire dal 2023 si diffondono nel tessuto sociale amplificando l'interesse sugli artisti viventi e sconosciuti: ecco interviste che vogliono far comprendere al lettore la visione psicologica, esistenziale e ideale dell'Artista contemporaneo. Eppure la dimensione sociale incide sul mercato generale e sull'Arte in modo particolare: in un'epoca come questa in cui la Guerra russo-ucraina oramai in corso da un anno riempie le notizie di cronaca dei telegiornali e dei quotidiani sino al rischio di ulteriori sviluppi nefasti. Eravamo partiti dalla Pandemia e siamo caduti in questo conflitto che ha tutte le caratteristiche di un preambolo ad una Guerra Atomica. A prescindere da questi aspetti generali dobbiamo poi comprendere come in Italia gli aspetti di una Recessione così devastante incidano nella vita delle persone; il caro bollette, la perdita di posti di lavoro, l'emergenza energetica od il caso dell'immigrazione di massa.

La situazione sembra non trovare tavoli di intesa ma elementi discordanti sia sul piano internazionale che sul piano privato della politica interna: oltre gli slogan lobbystici sembra che il nostro Paese sia sull'orlo di cadere in un baratro da cui non potrà fare più ritorno. Già da prima che questo Governo andasse al potere si parlava infatti della crisi che avrebbe risucchiato l'Europa in autunno e di interi reparti della popolazione che sarebbero andati in crisi: è possibile che in una nazione civile esistano giovani senza lavoro o intere famiglie senza riscaldamento in inverno? E' possibile che un'Europa civile consenta la guerra anziché rivendicare la pace tra le potenze extraeuropee? E' possibile pensare che in questa post-globalizzazione soldati uccidano altri soldati, che donne vengano violentate ed esseri umani diventino profughi senza terra al margine della dignità dell'uomo? Se questi sono i presupposti di un'epoca oscura quali dovrebbero essere i caratteri generali dell'arte contemporanea? Troppe domande: sicuramente. Eppure l'artista attuale dovrebbe smetterla di guardarsi dentro o di riflettersi nell'immagine di Sé potenziata dai Media e dai Social. L'autoreferenzialità ora è stucchevole: ovunque troviamo rispecchiamenti da Artissima di Torino alla Biennale di Venezia dalla Triennale di Milano al sistema fieristico nazionale ed internazionale. Ovunque si è diffuso il qualunquismo concettuale in cui l'impersonalità e l'omologazione imperano mentre la realtà affonda e le nazioni si fanno guerra. Mentre l'occidente crolla e l'asia avanza i figli del benessere banchettano placidamente tra le effusioni dell'alcol e dell'imbambolamento da Internet: l'arte riproduce questa spersonalizzazione atipica di cui noi ne diveniamo i depositari..  

XIII  Nota del Direttore

Cari lettori,

siamo giunti all'ultimo numero del 2022.

La linea portante di questa uscita è stata la visione delle dimensioni alternative all'arte riconosciuta, spaziando dalle sottoculture, al mondo underground sino alle subculture che rasentano il silenzio e la conoscenza esclusivamente ai membri ristretti di quel gruppo.

Ricordo volentieri una discussione su questo argomento che ebbi un pomeriggio di due anni fa in quello spazio espositivo che avevo creato aTorino Rinascenza Contemporanea II con un artista torinese scomparso proprio nel febbraio di questo 2022.

Ebbene lui stava facendo una mostra personale che si intitolava Benedetto tra le Donne inserita nel ciclo ONIRISMO del Gruppo degli OTTO. E disse a tal riguardo qualcosa di simile: "...l'arte tutta è alternativa. Non può seguire le masse altrimenti diventerebbe ufficiale..." e concluse sorridendo:"...alla gente non piace ciò che è ufficiale nella pittura: desidera vedere il mondo che ha costruito con tanti sacrifici andare in pezzi e rompendosi creare colori e forme senza senso! Solo l'arte può fare questo e con lei vede la morte restando in vita"

Che dire: l'arte ha da sempre avuto lo scopo fondamentale di andare oltre le barriere della realtà e spingere la fantasia, la psiche , i sogni più in là di quanto potesse fare la cruda realtà.

Eppure qualsivoglia forma di espressione ha trovato una propria nicchia di diffusione ed accettazione e per quanto fosse ostile al Sistema dominante ha finito con l'essere accettata e divenire parte di quel sistema che aveva combattuto fino a qualche tempo prima.

In altre parole l'arte quale forma antisistema si è conformata sempre ad esso.

Questo ha determinato da una parte l'apertura di vedute del sistema stesso nei confronti di linguaggi alternativi che lo combattevano. dall'altra una forma di astuzia intellettuale nel senso che accettando un discorso artistico antitetico lo abbia così neutralizzato definitivamente.

Dunque cosa dovremmo pensare di questi giovani artisti ipercritici verso la civiltà, le istituzioni, le abitudini, le politiche e le scelte della Storia?

Da una parte potremmo sostenere l'autenticità di simili atteggiamenti che poi nel corso della crescita si attenuerebbero per reciproca accettazione (sia da parte dell'artista che rientra all'interno di un discorso che del Sistema che lo comprende); dall'altre invece potrebbero essere atteggiamenti inautentici ovvero mossi solo dall'avidità e dal desiderio di far rumore per essere visti e prelevati dal calderone dell'indifferenza.

Come se chiunque fosse in grado di far rumore ed avere la tanto agognata notorietà.

Warhol in proposito affermò che tutti un giorno avrebbero avuto a disposizione almeno un quarto d'ora di notorietà: ci prese. La tecnologia ha realizzato tale profezia; allo stesso modo tornano alla mente le parole di Giansiracusa, l'artista della Decima Arte che aveva capito il senso mediatico della comunicazione a volte fondato sul desiderio di guadagno ed altre invece sul solo ed unico desiderio di creare.

Tra le centinaia di sottoculture sta sparendo la voglia di relazionarci perché la mercificazione dell'arte le ha tolto qualunque valore. 

XXII Nota del Direttore

Cari lettori,

eccoci al dodicesimo numero e quinta uscita de Il Periodico d'Arte nell'anno '22.

Prima della prossima ultima uscita è necessario fare alcune considerazioni dell'attuale numero che si è soffermato volontariamente sul fattore della solitudine, dell'emarginazione, dell'isolamento degli artisti.

Oltre che analizzare il fenomeno da un punto di vista psicologico per quei Maestri senza tempo è interessante compiere questa analisi sull'attualità che dovrebbe risultare evidente a tutti perché in corso. Eppure non sempre ciò che risulta semplice lo è in effetti: la perdita della realtà ovvero del rapporto con le cose è stata introdotta dall'avanzare dell'epidemia.

Le persone è evidente, hanno imparato a dissociarsi tra loro e dalle cose sviluppando un malato egoismo per un forzoso adattamento alla sopravvivenza e smarrendo quel senso ludico e di comunicazione.

Come un'interferenza il Covid ha interrotto il flusso relazionale sostituendolo con l'aumento di Internet, del Web e della distanza sociale. Questo è stato il primo passo del cambiamento.

Il prossimo riguarderà la transizione ecologica e sui postulati del riscaldamento globale saremo sommersi dalle tasse e dalla perdita della proprietà privata come conseguenza di quella pubblica: l'Italia è in svendita alle multinazionali affamate di questo boccone succulento.

Valanghe di dati saranno applicati all'ID e questo sistema di controllo ipertecnologico trasformerà le vite in tecno-sudditanza ad un'intelligenza artificiale sofisticata. L'obiettivo di questo programma è il 2030.


La poetica dell'arte non ha scampo in questa panoramica apocalittica: avrebbe senso continuare a costruire un edificio durante un bombardamento?

Ha senso per noi assistere passivamente alla svendita di interi agglomerati delle nostre città d'Arte? Ha senso assistere passivi alla graduale perdita delle libertà individuali ed allo sradicamento del sacro testo della Costituzione? Ha senso assistere come spettatori distratti allo scempio di intere filiere del lavoro costruito precedentemente da coloro che credevano in questo Paese per vederlo fare a pezzi giorno dopo giorno?

Come può l'arte crescere in una situazione di crisi come questa? I corsi e ricorsi della storia del resto ci sono sempre stati e sempre ci saranno: sono perpetui.

In questo consideriamo l'alzarsi e l'abbassarsi delle maree che è determinato non dagli dei ma dalla gravità lunare; le fasi di riscaldamento globale fanno parte delle ere glaciali ed interglaciali e non per la presenza dell'uomo; le pandemie diventano endemiche attraverso l'immunizzazione spontanea che naturalizza un qualunque virus e non i sieri; non possiamo continuare ad essere spettatori seduti in prima fila di un'elite che decide di noi mentre spaventati restiamo nell'ombra nascosti dietro le mascherine.

Gli artisti riconosciuti da questa élite sono diventati giullari all'ordine del padrone esigente che penalizza tutti coloro che non hanno lasciato fluire il perenne indottrinamento; quelli sconosciuti invece patiscono l'indifferenza perché sono stati messi a tacere, resi innocui, sconosciuti, senza seguito e fama.

La solitudine li perseguita. Sono degli emarginati senza presente; sono dannati e scacciati; sono gli ultimi, quelli che creano giorno e notte, che sono tra noi per le strade ma che nessuno conosce. Sono silenziosi, invisibili, maledetti senza soldi: sono Artisti che sono qui per raccontare. 

XI Nota del Direttore

Cari lettori

 l'undicesimo numero segna la quarta uscita del 2022.

Questo numero in particolare generato durante la torrida estate torna indietro nel tempo allo sbarco dell'uomo sulla Luna e da qui spinge la curiosità attraverso la scienza, la fantascienza, l'arte, i fumetti o le architetture a visualizzare l'idea di spazio e di relazione umana ad esso: quanto spazio esiste tra una persona e l'altra? Un mondo di spazio.

Non parliamo ovviamente di spazio galattico ma di differenze sociali, psicologiche, comportamentali in cui mentre l'etica così come la Costituzione o le forme di bon ton ci dicono che siamo tutti uguali in realtà i tempi in corso ci fanno capire che questo è vero in parte e solo in teoria perché esistono proprio ora delle differenze abissali tra le persone di cui alcune di esse non possono essere assolutamente tollerate. Questa forma di intolleranza genera atteggiamenti antisociali discriminatori atti a far perdere diritti, rapporti, lavoro, amicizie e qualsivoglia forma di dignità.

La punizione per coloro che decidono di non sottoporsi alla nuova normalità tecno-sanitaria sono stati emarginati, esclusi, condannati a muoversi al margine della società.Dunque gli alieni narrati dalle teorie complottiste considerando gli avvistamenti di Norimberga sino a Roswell od entità di dubbia provenienza fondamentalmente sono qui tra noi.

Questi untori passeggiano per nostre strade, vivono nei nostri palazzi: hanno ancora la possibilità di andare a fare la spesa o nel peggiore dei casi di poter andare in farmacia per curarsi.

Eppure vivono quaggiù sulla Terra come noi. Verranno multati oltre che derisi, infamati e ridotti al silenzio: per loro l'indifferenza, l'emarginazione e la conseguente perdita della dignità. Sono con loro? Sono dalla parte degli ultimi.


Questi alieni ghettizzati nei loro abitacoli saranno perseguitati e ridotti di numero come dai costanti comunicati di regime viene ripetuto. Eppure hanno due braccia come noi, due gambe come noi, parlano come noi.

Cito allora Shylock:"...non ha mani? Non ha membra, corpo, sensi, sentimenti, passioni? Non si nutre dello stesso cibo, non è ferito delle stesse armi, soggetto alle stesse malattie, guarito dalle stesse medicine, scaldato e gelato dalla stessa estate e dallo stesso inverno, come un cristiano? Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate un torto, non ci vendicheremo?" L'atto III, ovvero la Scena I de Il Mercante di Venezia di William Shakespeare esprime appieno il fenomeno attuale: qui non parliamo di differenze razziali o di genere (attualmente vanno di moda nel senso che non si fa altro che parlare di parità fra i sessi e dei colori) ma per quel che riguarda l'abominio di famiglie recluse perché contrarie democraticamente a farsi inoculare il siero della sudditanza è quantomeno scandaloso. Questo è alieno.Ma ancor più alieno degli alieni è l'atteggiamento di approvazione collettiva. La maggioranza delle persone ha accettato questa discriminazione per comodità, per conformismo, per paura o semplicemente per fede in una narrazione corrotta.Quindi la tipologia di viaggio intellettuale che questa volta abbiamo impresso a questo numero è stato caratterizzato dal desiderio di comprendere come l'alienazione o l'esclusione dalla vita sociale sia stata accettata da una popolazione cieca innanzi al vero: non hanno considerato che quegli esclusi potrebbero essere loro stessi da sé medesimi dal momento in cui non hanno dimostrato la benché minima forma di solidarietà. 

X Nota del Direttore


Cari lettori, 


eccoci al decimo numero de Il Periodico d'Arte. Come è ravvisabile dai contenuti di questa uscita il senso intrinseco di trasformazione, omologazione e l'obsolescenza sono i concetti sui quali mi sono diffusamente soffermato. La trasformazione è la più evidente e rappresenta un aspetto positivo nel senso che instaura nei figli del tempo un'aspettativa promettente: dai fattori ecologici a quelli ambientali sino a quelli relativi alla velocizzazione ed alla possibilità di connettersi con tutti. Le vecchie forme standardizzate di comunicazione sono oramai vecchie e sorpassate. Da questo aspetto entriamo così nel secondo principio ovvero all'omologazione che è la relativa conseguenza della trasformazione in atto dei sistemi tecnologici.

L'omologazione è l'appiattimento dei codici relazionali, comportamentali, individuali nel senso che il Sistema quanto più è centralizzato tanto più controlla i gradi di sviluppo al suo interno e qualsivoglia espressione per quanto possa definirsi libera e indipendente. Tutto ciò che non adempie alla narrazione di questa modifica del copione sociale precedente non sarà conformato e di conseguenza scartato dal sistema perché considerato obsoleto. L'obsolescenza infatti corrisponde all'ultimo aspetto preso in esame. Perché avrei messo in evidenza questi aspetti? Forse non credo nel progresso divenendo un passatista nell'affermare queste visioni? Assolutamente no: credo nel progresso così come nei vantaggi della tecnologia solo che essa non dovrebbe vincolare gli utenti senza omologarli od isolare coloro che non la desiderano. 


Il problema fondamentale consiste proprio nel fatto che attualmente questa sequenza di fattori sia già in atto a prescindere dal consenso delle masse dormienti. Il Sistema centrale ha pienamente abbracciato l'idea di virtualizzare i popoli tenendo gli individui isolati nei propri moduli abitativi e consentendo loro di sentirsi liberi in un mondo inesistente fatto di avatar, di rapporti impersonali e creando una realtà che li distaccherà ulteriormente dal mondo. I figli di questa generazione sono già addomesticati a questa velocizzazione perpetua a cui per restare connessi dovranno sottoporsi ad aggiornamenti simulando ciò che gli viene mostrato dalla Rete. L'omologazione genererà mostri, esseri senz'anima che obbediranno ciecamente ai dettami di super-macchine intelligenti prodotte da altre macchine e l'uomo verrà meno ai suoi limiti, ai suoi sentimenti, alle sue frustrazioni.

Come emerso dallo studio della Columbia Business School se in passato l'ozio rappresentava una condizione di privilegio ora l'essere liberi eccessivamente viene scambiato per inefficienza; le persone devono risultare sempre impegnate, desiderate, ricercate perché ciò dimostrerebbe quanto la persona sia valida ed utile per la società. In questo senso l'assenza di tempo costituisce un nuovo status symbol e l'essere indaffarati diventerebbe cool. Questo spiega la tendenza delle nuove generazioni ad essere connesse sui mezzi, per strada, nei locali: non essendo disponibili manifestano assenza, distacco dato che qualcosa li tiene perennemente impegnati.

L'operatività corrisponde alla schiavitù insegnata da un Sistema che vuole masse non pensanti, distratte, conformate e prive di un giudizio critico. Ed in questo l'emarginazione torna ad affacciarsi lentamente. Nella storia è iniziata così per questioni razziali, religiose, sessuali: minoranze additate come diversi.

IX Nota del Direttore

Cari lettori

siamo giunti alla nona uscita che di questi tempi non è poco. Come la Nona Sinfonia di Beethoven ho tentato la perfezione descrittiva attraverso la complessa via dello sviluppo approfondito di ogni argomentazione, della descrizione ricercata, della passione per la conoscenza.

Perfezione; parola grossa, ambiziosa a volte presuntuosa eppure al centro di un conflitto interiore che spinge l'immaginario e lo studio continuo a cercare, a sviluppare, ad approfondire in nome della verità.

La verità così come la perfezione costituiscono la meta verso cui qualsivoglia lavoro intellettuale od artistico mirino nel profondo agognando una terra inesplorata dalla quale tutto si generi ed aspiri.

Eppure non esiste nessuna perfezione tantomeno verità: semmai potrebbero esistere per qualche attimo per poi mutare con il trascorrere inesorabile del tempo. Nulla resta fisso!

Il giornalismo dovrebbe comprendere ciò: partendo dalla consapevolezza che tutto muti costantemente dovrebbe adattarsi a qualsiasi evento, a qualsiasi trasformazione delle cose tentando in secondo luogo di ragionare sulle cause quanto invece concentrandosi sulla descrizione degli effetti: noto invece in qualsiasi ambito la pretestuosa ed arrogante tendenza a cercare le cause degli eventi con lo scopo di mantenere coerenza alle ideologie pregresse che costituiscono l'humus di provenienza, aderente ad una visione politica, filosofica, ideologica. In questo modo scartano quanto è lì nella realtà e nell'effetto.

Il giornalismo di qualunque ambito dovrebbe osservare in silenzio, ascoltare prendendo appunti, riportando come un cronista antico la descrizione pura degli eventi dimenticando la causa e l'effetto.

Dovrebbe cioè narrare per come le cose stanno avvenendo o per come sono avvenute: il lettore dovrebbe poi giungere alle proprie considerazioni.

Eppure il narrare equivale a mettere insieme i fatti, i dati, le situazioni ri -costruendo ciò che sembrava scollegato; in questa operazione bisogna cercare, documentarsi, domandare, esplorare, vedere, ricordare, segnare; il collegamento tra fatti disparati merita costantemente l'uso delle fonti affinché tutto possa coincidere con la verità.

Ecco che sembra di tornare improvvisamente alle categorie filosofiche che stabilivano il nesso tra il vero, il bello ed il buono a qualcosa di platonicamente elevato.

Torniamo così al principio di perfezione: pensiamo ai filosofi scolastici che definivano queste virtù trascendentali come qualità velate che meritavano l'a-letheia (il disvelamento) solo attraverso un processo di elevazione morale raggiunto con lo studio ed il conseguente affinamento cognitivo.

Il giornalismo ha questo sacro compito: disvelare quanto è nascosto. Sembra operazione scomoda, complessa e ardua.

Eppure coloro che la svolgono non dovrebbero mai obliare la lezione purista ed heideggeriana verso l'autenticità. Tematiche complesse per quanto semplici e naturali. Dopo i tre poteri forti ovvero il legislativo, l'esecutivo ed il giudiziario quello fin qui discusso dovrebbe essere quello giornalistico: il quarto potere.

VIII Nota del Direttore

Cari lettori

siamo giunti al terzo anno de Il Periodico d'Arte. Da Quadrimestrale il primo anno lo abbiamo reso Trimestrale nel secondo ed ora al limite della resistenza diventa Bimestrale.

Questo ottavo numero pretende l'approfondimento di concetti legati alla mutazione ed alla trasformazione dell'arte e della cultura in generale.

Soprattutto in una società come quella in cui stiamo vivendo: non voglio assolutamente entrare nel merito di questioni politiche, economiche o sanitarie, assolutamente no! Ho scelto di creare un giornale d'arte proprio per affrontare un discorso personale sulla mia analisi critica delle forme del linguaggio contemporaneo e della matrice che esso cela nel suo divenire temporale.

Eppure anche non desiderandolo l'operazione artistica è influenzata dall'ambiente in cui l'artista opera ed il linguaggio esprime appieno l'epoca e le convinzioni storiche delle politiche dominanti. Ecco dunque l'Arcano uscire dalla porta e rientrare dalla finestra: l'influsso della propaganda perpetua determinata dalla televisione, da internet e dagli slogan è mellifluo e condiziona colui/colei che crede di esprimersi liberamente.

I figli delle televisione sono conformati dal marketing, quelli della rete sono manipolati dalla dietrologia complottista, quelli dei libri invece hanno ancora un'individualità analitica, un pensiero critico ed antitetico: fondamentale un pensiero critico.


La logica di per sé rappresenta la razionalizzazione di fatti innati che l'osservazione ha il compito di giustificare. Ciò non basta: se gli eventi non trovassero sentimento perderebbero senso.

La cultura è in crisi perché la civiltà al limite del suo divenire ideologico sta imparando a guardarsi allo specchio scoprendo le proprie contraddizioni, i paradossi e la teoria dell'assurdo. Il processo è irreversibile. I pensatori cadono come foglie morte dagli alberi delle superstizioni.

Da questo deduco la trappola del pensiero in cui l'uno giudica l'altro. Non si nasce dotti. Si studia. Molte volte si rinuncia alla vita mondana per dedicarsi ai libri, per dedicarsi a qualcosa di grandioso: la formazione di un senso, di un'etica, di una visione del mondo. Eppure non solo i libri insegnano. La vita è la vera maestra. Le esperienze, gli errori, le libere scelte. Il tutto per risvegliarsi e riConoscere le cose di questa dimensione. Noi non siamo cose eppure quando iniziamo a percepire il Creato comprendendo l'esistenza dell'anima è troppo tardi: invecchiamo e ci trasformiamo.

Non dobbiamo poi confondere la cultura con nozionismo da pappagalli. L'obiettivo è formare una coscienza, una morale, un'ideale di realtà. Basta affacciarsi alla finestra e vedere questa Realtà ovvero il modo in cui abbiamo trasformato il mondo. Solo allora capiremo cosa abbiamo fatto di noi stessi.

Ebbene: quanto sta capitando nel mondo non lo hanno fatto gli altri. Siamo noi i diretti responsabili delle vicende che avvengono intorno ed il nostro ruolo intellettuale è favorire il flusso costante delle notizie attraverso le fonti senza venderci a questa o quella corrente di pensiero poiché il fine assoluto dell'informazione è la Verità di cui noi giornalisti ne dovremmo essere cronisti. 

VII nota del Direttore

Cari lettori

il settimo numero conclude questo secondo anno de Il Periodico d'Arte. Nato come Quadrimestrale è diventato Trimestrale; riuscirò a renderlo Bimestrale? Dipende dai fondi che scarseggiano eppure non ci scoraggiamo! I primi sette numeri rappresentano la nostra vittoria nel mondo dell'informazione artistica e culturale senza alcuna influenza ideologica, politica o strumentale atta a servire qualsivoglia potere dominante. Io sono un purista del giornalismo: durante i corsi o videoconferenze di aggiornamento all'Ordine dei Giornalisti mi batto con fierezza dichiarando il mio desiderio di spingere il Giornalismo od almeno il mio giornalismo nella direzione della franchezza, della trasparenza, della verità.

Un qualunque giornale non dovrebbe avere orientamenti politici, economici o finanziari perché per essere PURI bisognerebbe non avere alcuna aderenza ideologica e limitarsi a narrare, a documentare e descrivere la natura degli eventi di qualsiasi natura (politica, cronaca, sport, etc.) consentendo al lettore di farsi un'idea di quell'evento a prescindere dal fatto che il lettore non fosse lì. In altre parole il giornalista onesto dovrebbe riportare i fatti così come furono e se non avesse la possibilità di giungere in un luogo lontano dovrebbe andare alla ricerca di fonti, consultare agenzie attendibili e confrontare le proprie idee con le prove che testimoniano la Verità facendola coincidere con la Realtà.

Molte volte questo non succede: le notizie girano in rete, sui diversi canali televisivi, su giornali o riviste 

che senza la benché minima verifica di attendibilità promuove Fake News o bufale prodigiose che fanno Share od ottengono Follower: su questo punto il problema della disinformazione online da tenere a debita distanza da quella di qualità è labile. Bisogna definire condizioni che stabiliscano (come definito da AgCom) punti focali e credibili, attendibili e verificabili.

Non è cosa semplice: bisogna proteggere il lettore dalle bufale senza però limitare la libertà di espressione perché se il controllo politico interagisse su una forma di censura alla tipologia di notizie si cadrebbe in un tipo di informazione strumentale e pilotata dalle forze esterne ed il giornalismo diventerebbe in questo modo lo zerbino al servizio dei poteri forti: altro che Quarto Potere film del 1949 diretto da Orson Welles in cui definiva il potere dell'informazione al servizio delle masse.

Come abbiamo già ricordato fortunatamente ci occupiamo di arte e cultura: qui almeno non dovrebbero entrare forze esterne atte a manipolare e indottrinare il senso stesso dell'informazione.

Osserviamo con attenzione le tendenze artistiche, le idee creative, i processi realizzativi di uno spettacolo teatrale, di un copione cinematografico così come dell'elaborazione di un fumetto o la preparazione di un balletto classico; ci interessa la sensibilità di un romanzo così come il divenire della musica, delle filosofie creative e di ciò che fa parte del mondo umano.

Per molti si tratta di tempo libero, per noi è vita.

L'informazione giornalistica nel settore Arte descrive questi processi con lo scopo di tenere il pubblico cosciente, consapevole, aperto ai nuovi orizzonti delle menti più geniali del nostro secolo.

VI nota del Direttore


Cari Lettori,

il sesto numero esce all'insegna di considerazioni spiacevoli che non alimentano la speranza verso qualcosa di nuovo.

Purtroppo l'informazione d'élite ovvero quella al servizio delle classi dominanti o che nella fattispecie opera e collabora con le forze politiche schierate di cui i media come la televisione, la radio o la rete collaborano indiscriminatamente mi spingono ad esprimere considerazioni marginali e del tutto antitetiche al pensiero dominante.

A parte il fatto che l'informazione dovrebbe essere neutra a prescindere dal colore di riferimento e non al servizio dei poteri forti; a parte il fatto che non dovrebbe servire come strumento di indottrinamento delle masse ma come punto critico d'eccellenza affinché le forze operanti venissero stimolate a far meglio; a parte il fatto che dovrebbe rappresentare il Quarto Potere!

Caduta nell'abisso del Potere l'informazione non è più informazione perché assisto basito allo schieramento intellettuale di persone valide che pur di seguire gli orientamenti ideologici difendono scelte sbagliate compiute dai fautori di quelle idee sacrificando il senso stesso dell'informazione pura che sacrifica le prove che potrebbero mettere in discussione i dogmi di un pensiero unico. Partendo da queste considerazioni ci addentriamo nel Sistema Arte di cui mi occupo: le campagne pubblicitarie per il rilancio hanno storpiato il senso stesso dell'arte.  

Interi comparti di questo settore sono stati letteralmente messi al bando in nome di regolamenti discutibili che hanno definitivamente sacrificato il patrimonio stesso di questo Paese.

La Cultura non è stata presa sul serio: mi stupisco che intellettuali di spicco abbiano taciuto od acconsentito a questo scempio.

Curatori, galleristi, critici, artisti, espositori e addetti ai lavori per otto lunghi mesi dal marzo dell'anno scorso hanno visto vanificare tutti i loro sforzi di anni e sacrifici per un settore che la nostra nazione ha serenamente vanificato per lasciare il posto a gallerie virtuali, ad aste digitali, ad artisti robotici messi in relazione al pubblico attraverso follower determinati dal big mercato degli influencer e dagli algoritmi intelligenti che hanno assorbito le vecchie maestranze.

Ricambio generazionale: Great Reset. Insomma: ci stanno indottrinando a comunicare attraverso le piattaforme digitali, a recarci nei musei di tutto il mondo comodamente seduti sul nostro divano marginalizzando sempre più le nostre risorse, la nostra libertà, il nostro giudizio.

L'arte è vita e per esistere necessita di libertà altrimenti soffoca, implode e serve spaventata il potere coercitivo.

La via dei questo Ciclo Oscuro è stata imboccata ed il sacro compito degli artisti sarà quello di raccogliere dati, emozioni, situazioni e raccontarle alle generazioni future: come menestrelli in un cyber mondo iper-governato dall'Intelligenza Artificiale questi liberi pensatori avranno il sacro compito di tramandare ai posteri questo scempio. Ora non siamo in grado di smuovere questo momento infausto ma coloro che verranno vedranno le cose con chiarezza e comprenderanno le ragioni di questo imbambolamento delle masse inebetite dalla paura e dall'odio. Che sia l'arte il terreno di tali riflessioni! 

V nota del Direttore

Cari lettori

Cari lettori, questo 2021 si preannuncia come un anno complesso sotto il profilo politico-economico, socio-sanitario, artistico-culturale.

L'uno influenza l'altro: la situazione politica sterminata dal trasformismo partitico in cui non si riesce a delineare un governo stabile capace di far fronte alla gravissima crisi economica in cui da una parte abbiamo un'Europa disposta a finanziare l'Italia indebitandola almeno per il prossimo trentennio, dall'altra una compromessa situazione globale in cui la caduta repubblicana statunitense allarga apparentemente le intese occidentali verso l'Atlantico. Su questo scenario assistiamo in Italia ad una disorganizzazione amministrativa complicata dal mostro burocratico che aspira tutto ciò che sia in grado di alimentarlo e del quale si servono i poltronisti per continuare a spartirsi il potere mentre il popolo affonda nei debiti e nell'incertezza. La Pandemia continua vorticosa a seminare vittime: entro breve raggiungeremo i tre milioni di morti ed i vaccini sembrano più un fatto politico che sanitario.

I distanziamenti sociali e le restrizioni sono aumentate in maniera esponenziale intaccando anche la sfera psicologica in cui le masse isolate nei rispettivi luoghi di residenza sono state trasformate in individui silenziosi, teledipendenti ed incapaci di reagire a questa situazione: dopo la seconda quarantena il silenzio.


La situazione è precipitata ulteriormente anche sul piano culturale partendo dalle scuole chiuse in cui le nuove generazioni dovranno dialogare ed imparare in smart working da remoto mentre musei, gallerie, teatri, cinema rimarranno chiusi a singhiozzo.

D'altronde cosa dovrebbero fare i coordinatori amministrativi che si alternano nella gestione dei territori compromessi?

La distanza tra le persone sembra l'unica via possibile: il resto sono solo slogan.

Per quanto riguarda l'arte stendiamo un velo pietoso. Come ho avuto modo di esprimere ampiamente dai miei testi di filosofia artistica pubblicati autonomamente stiamo assistendo alla morte di un modo di intendere l'arte partendo dai meccanismi creativi a quelli post-produttivi del Sistema Arte tradizionale non più in grado di concepire ad esempio l'idea di pittore/artista, galleria/spazio espositivo, valore/ immortalità.

La dequalificazione della fisicità ha smaterializzato l'arte in tutti i suoi meccanismi consentendo alla digitalizzazione di impossessarsi degli spazi deputati all'esposizione (oramai virtuale) al mercato (pensiamo alla Crypto arte) fino agli artisti oramai imprenditori in giacca e cravatta che fanno business in rete di opere/prodotto/merce che viaggiano attraverso Amazon su scala globale.

I panorami che si aprono sono molteplici così come quelli che via via andranno chiudendosi a macchia d'olio. 

Giornalisticamente mi trovo a descrivere questi fatti con oggettività ma da libero imprenditore, critico d'arte, gallerista, art manager di questo primo ventennio da XXI secolo purtroppo, mi trovo nella posizione infausta di coloro che vedono un mondo trasformarsi

IV nota del Direttore

il Periodico d'Arte celebra il suo primo anno di esistenza e per il suo primo anniversario da Quadrimestrale diventa Trimestrale augurandosi di sopravvivere alle avversità storiche, politiche e sanitarie che stanno flagellando il mondo. Si spera inoltre che questo numero in più che vedrà in ogni stagione la sua uscita possa attrarre un numero maggiore di lettori, curiosi, interessati assolutamente non in termini materiali ma esclusivamente a scopo culturale.

Già la cultura. Qui in Italia siamo messi male: si pensi che dai calcoli Istat il 40,6% della popolazione media legge un solo libro all'anno di cui solo il 78,4% utilizza ancora la carta mentre il 7,9% va sugli e-book. Soprattutto i giovani per motivi didattici sono i più alti consumatori di cultura determinando questo dato sulle condizioni di influenza familiare. La cosa sconcertante è che dal 2018 esistono famiglie che non comprano più libri: sempre in termini statistici sappiamo che l'Italia è al ventitreesimo posto in Europa per quanto riguarda la cultura in generale. In altre parole siamo alla pari dell'Ungheria, del Portogallo o della Romania. 

Affrontando ulteriormente questi dati possiamo affermare che sul piano europeo l'Italia figuri agli ultimi posti con lo 0.6% del PIL ponendosi come terzo paese dell'Unione Europea per il finanziamento culturale. 
A complicare la situazione il Covid-19: con la distinzione tra attività, tra codici ateco o categorie necessarie e non necessarie per tenere aperto o no musei, gallerie, mostre e le attività culturali in generale sono cadute nell'oblio. 
Pensiamo ai cinema, ai teatri e ad un'infinità di intellettuali, artisti e mestieranti abbandonati e scartati dal sistema sociale.


Sicuramente le norme di sicurezza, di distanziamento sociale hanno dovuto sacrificare e mettere a dura prova il nostro Paese ma l'Arte e la Cultura sono state sacrificate.

Interi settori di questo universo già traballante sono stati e saranno per ondate (gialle, arancio, rosse) spazzati via per sempre. Chi tutela un artista? Un intellettuale? Dalle grandi fondazioni, musei e gallerie prestigiose magari sovvenzionate e statalizzate ai liberi professionisti tutelati da finanziamenti privati a quelli come me (critici d'arte, giornalisti, galleristi) che non hanno nessuno su cui contare cosa devono fare? Io dico continuare. Nonostante la Pandemia sono qui a scrivere, a progettare eventi, mostre, libri ma tutto questo per sopravvivere necessita di fondi. Sono un art manager senza portafogli e dirigo questo giornale come un capitano dovrebbe fare (e molte volte non fanno). Bisogna andare avanti da soli nonostante tutto. In una realtà corrotta fatta di conoscenze e di amici di amici che si aiutano a vicenda poi esistono quelli come me che trascorrono la vita sui libri, all'ombra degli eventi e con la televisione spenta. Queste le premesse per andare avanti: la vera pandemia oltre il Covid-19 è l'ignoranza dilagante!

III nota dl Direttore



Gentili lettori 


il Terzo Numero de Il Periodico d'Arte è stato controverso perché determinato da una parte dal desiderio di non rompere la catena produttiva dall'altra dal serio pericolo di restare imbrigliato nel vortice storico, politico ed economico che il Covid-19 ha definito.

Dall'epoca della Quarantena ad oggi abbiamo assistito come cittadini del mondo e del nostro paese ad una serie di manifestazioni decisionali assolutamente discutibili che hanno ulteriormente messo in ginocchio tutte le attività legate alla cultura. Nessuno mette in discussione la gravità della situazione determinata da un virus killer che si è diffuso sul pianeta alla velocità della luce sterminando un numero impressionante di essere umani eppure il fattaccio è stato affrontato diversamente dai diversi paesi trasformando una questione sanitaria in una questione politica.Non è questa s ede del dibattito politico. Qui si affronta l'arte in tutte le sue manifestazioni espressive e creative. Ma la dimensione sanitaria politica ed economica in cui siamo stati tutti coinvolti nei mesi precedenti non ha forse inciso sulla vita del singolo individuo? L'artista quale espressore delle proprie sensazioni e dei sentimenti non ha forse patito e traslato artisticamente lo choc?

In questa direzione l'individualità artistica non ha assorbito informazioni derivanti dall'agglomerato esistenziale?
Rispondo affermativamente.
In questo senso l'arte è politica, è economia, è sociologia poiché direttamente coinvolta nell'evolversi psicologico di eventi storici che influenzano sull'andamento della vita soggettiva.
Come ne hanno risentito emotivamente gli artisti così ne hanno risentito strutturalmente gli spazi espositivi, le gallerie, i musei che si sono visti costretti a convertire il materiale in virtuale, il contatto con il pubblico in visualizzazioni e l'impatto dell'opera in carne e sangue in format digitale.
Una perdita colossale dei mercati di cui l'Arte e la cultura in generale soprattutto in Italia ne ha risentito in maniera esponenziale. Dall'universale possiamo giungere al particolare.
Lo spazio espositivo che ho creato tentenna perché si è visto costretto a sostenere le spese di mantenimento senza delle entrate determinate dall'esterno o dalla semplice esposizione. State a casa dicevano oppure Andrà tutto bene . Così ho fatto rispettando le regole ovviamente eppure tutto ciò che faticosamente ho creato con le mie esclusive forze è in crisi e l'incidenza di interessamento da parte del pubblico è calato drasticamente. La gente in questo momento è avida di cose necessarie in un panorama in cui la Cultura è superflua e la digitalizzazione è entrata in casa perseguitandoci oramai in ogni dove. Pazientiamo! 

II nota del Direttore


Cari lettori





l'uscita di questo secondo numero de Il Periodico d'Arte è stata complessa data la controversa situazione sia storica in cui un flagello come il Coronavirus ha sicuramente messo in ginocchio l'Italia ed il mondo sul piano sanitario ed economico sia individuale in cui mi sono trovato inaspettatamente ad affrontare un intervento al cervello per salvarmi da un tumore benigno.

Il nostro Paese già bombardato da forze economiche dominanti navigava in cattive acque poi con le misure di sicurezza attuate dalla Quarantena per quanti sforzi politici, medici e della popolazione tutta è giunta una delle fasi più cupe della nostra storia. Sembra che questo MedioEvo Romantico prima di lasciarci definitivamente ed entrare nella nuova era abbia deciso di metterci alla prova. 

Non intendo sicuramente fare la parte del dietrologo o del millenarista ma la dimensione è sconcertante.

Sembra l'Apocalisse con i suoi quattro cavalieri simbolici: al primo, capitolo 6:2 (l'Anticristo) al quale vien data l'autorità di conquistare tutti coloro che si oppongono a lui. Costui è l'imitatore di Cristo e tornerà su un cavallo bianco.
Il secondo, capitolo 6:4 sul cavallo rosso rappresenta la guerra così come il terzo, capitolo 6:5-6 sul cavallo nero e qui teniamoci forte, si riferisce proprio ad una grande carestia/epidemia conseguente alle guerre del secondo cavaliere.

Infine il quarto cavaliere, capitolo 6:8 in groppa ad un cavallo giallo che rappresenta la Morte Individuale attraverso il senso di abbandono e perdizione che toccherà le singole anime quasi una sorta di unione dei tre precedenti in cui la fame e la malattia disintegreranno la speranza. Ovviamente queste coincidenze sembrano essere in atto dal momento in cui la globalizzazione ha preso il sopravvento: la Cina e gli Stati Uniti ora si accusano a vicenda per il Virus del secolo presumibilmente generato/non creato della stessa sostanza del padre dai laboratori che agivano a favore di una trasformazione dei mercati e degli investimenti finanziari delle multinazionali per mezzo di case farmaceutiche che ne avrebbero ricavavano vantaggi. Questi scenari apocalittici appunto spero siano solamente fake news che navigano in rete: del resto avevano previsto l'impatto di un asteroide sulla Terra per fine aprile oltre a incendi e terremoti!

Ragioniamo seriamente mentre i media ci chiedono di Restare a Casa: mentre il mondo è fermo e tenta di combattere il nuovo male attraverso la diffusione di nuovi vaccini consideriamo le epoche precedenti che hanno visto la Spagnola e prima il Colera e precedentemente la Peste. Forse non riusciamo a comprendere che la Natura sia più forte, antica e grande di noi piccoli ominidi che l'hanno colonizzata in questo ristretto margine di tempo. Cogliamo positivamente il messaggio della nostra distruzione sia che provenga spontaneamente dalla natura sia che provenga dalla sperimentazione umana: forse è giunto il momento di stare fermi ed osservare il divenire delle cose con o senza l'uomo. Eliminiamo per una volta le smanie di protagonismo citando una frase tratta dall'Idiota di Dostoevskij "La bellezza salverà il mondo" Che l'arte sia con noi! 

I nota del Direttore

Cari lettori



questo numero 1 de Il Periodico d'Arte rappresenta lo sforzo individuale di un giovane freelance che ha fatto gavetta con le sue forze esclusive senza l'aiuto di nessuno. Ho sempre lavorato e studiato senza mai fermarmi: dopo il Liceo Artistico e la Laurea in D.A.M.S. presso la Facoltà degli Studi di Torino ho collaborato gratuitamente presso un quindicinale d'arte torinese che mi ha dato la possibilità di conseguire il tesserino nell'Albo dei Giornalisti del Piemonte e di avviare collaborazioni critiche con numerose gallerie italiane. Dalle esperienze apprese ho poi generato un primo spazio espositivo Rinascenza Contemporanea nella città dannunziana di Pescara dal 2012 al 2016 ed un secondo Rinascenza Contemporanea II di Torino che gestisco attualmente nella ricerca di artisti che sviluppano concretamente la mia teoria estetica raccolta in un testo scritto da me negli ultimi dieci anni ed in via di pubblicazione.
Queste premesse non hanno assolutamente alcunché di autocelebrativo. 
L'umiltà e la volontà di collaborazione fanno parte del mio spirito profondo senza alcuna pretesa e credo che il desiderio di mettersi in gioco e di lavorare seriamente facciano parte di uno spirito libero ed onesto che voglia relazionarsi agli altri attraverso il difficile compito della divulgazione culturale.
Il Periodico d'Arte nasce da queste convinzioni spingendo la curiosità nei meandri oscuri del complesso  Sistema


dell'arte che ai più risulterà distante e controverso.

Controverso per gli artisti che desiderano entrarne a far parte confondendo la capacità esecutiva con la fama e la presumibile vendita dei loro lavori con la comprensione da parte del pubblico. Controverso per i galleristi che appartengono ad una categoria in via di estinzione dati i cambiamenti epocali che vedono in crescita la rete tecnologica, le fiere o le forme di autopromozione attuate dai pittori. Controverso per il pubblico oramai stanco di opere Intelligenti: l'arte risulta sempre più lontana dalla realtà ed a volte troppo imbevuta di essa sino ad esaurire le proprie risorse. La risultante inevitabile è proprio l'allontanamento progressivo del pubblico dai luoghi di esposizione e condivisione artistica.
Ma non entriamo nella trappola di fare di tutta un'erba un fascio. Sono un giovane critico d'arte e giornalista con almeno un decennio di esperienza diretta sul campo: ne ho viste di cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare...eppure sono sempre all'inizio di questo viaggio fantastico nel mondo dell'arte e l'informazione, la ricerca, l'analisi fanno parte di un universo parallelo che indaga la società, i costumi, le usanze di un'epoca travagliata come la nostra in cui il desiderio di risorgere dalle proprie ceneri è forte, anzi preponderante soprattutto per un popolo come il nostro che ha dato vita a maestri immortali dell'arte, della letteratura, della musica.
Credo in questo Bel Paese anche se in questi anni '20 dovrà fare i conti con i colossi della macroeconomia globale.
E la crisi? Rispondo ai giovani: non scoraggiatevi. Cogliete l'opportunità di ciò che non vi vien dato e createlo da voi: è un'opportunità per crescere.

La redazione de IL PERIODICO d'Arte è lieta di operare nel campo delle arti e di ricercare giornalisticamente la verità dei fatti e delle scelte creative degli artisti di ogni epoca storica

Il Periodico d'Arte. Via Genova 23 - 10126 TORINO
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